Primavera Sound 2005 Report (LT 07 Preview)
Stephen Malkmus - Home Alone (LT 06)
Adam Green - American Idol (LT 05)
Low... forever changes (LT 05)
Revisionismi: J Mascis - Martin And Me (LT 05)
Sono un ribelle, mamma (Write Up n.2)
Tra le pareti (www.julieshaircut.com)
Broken Social Scene: all in the family (LT04)
Revisionismi:Weezer-Pinkerton (LT04)
Le parole che non ti ho detto (MarieClaire feb 05)
Revisionismi: Scisma-Armstrong (LT03)
Meg: essenza multiforme (LT03)
Greg Dulli e Manuel Agnelli: Matrimonio all'italiana (LT03)
American Music Club e R.E.M.- Once were warriors (LT03)
La lunga estate dei folletti (LT02)
Not tomorrow!No manana!Today! (LT02)
Blonde Redhead sulle ali della farfalla (LT01)
Oltre la traversa (Il Mucchio Selvaggio 2002/2003)


Weeds



giovedì, marzo 30, 2006

Manuel je fa le raspe* (E la verità è che la gente sta male...)


Non so voi, ma io personalmente non sopporto i tipi che durante i concerti incominciano a fare sali e scendi dal palco solo per sbracciarsi affianco ai loro idoli e fare un po' di show nello show.
Mi irritano.
Peggio. Li odio proprio. Soprattutto quelli che per scavalcare le transenne ti stampano in bocca gli anfibi e non si pongono neanche il problema di chiedere scusa.

Maynard Keenan dei Tool sembra avere trovato il modo migliore per risolvere il problema alla radice. Guardare per credere.
(Grazie ad Elisa, che l'ha passato ad ABA, che l'ha passato a me, per il fantastico filmato. Per la serie: attività costruttive che si svolgono quando si ha un ufficio stampa).

*Per i non romani, "Manuel je fa le raspe" può essere tradotto correttamente con:" Manuel ha ancora da imparare".

Non c'entra niente ma c'entra, dialogo carpito al concerto dei Baustelle (al banchetto di LosingToday).
"Scusa posso vedere questa?" (Allunga la mano verso il numero con in copertina proprio i Baustelle)
" Certo, fai pure."
"Scusa, ma questa non è l'ultima vero?"
"No, l'ultima eccola qui" (indicando il numero con Clap Your Hands Say Yeah).
"Ah, ma siete sicuri che è l'ultima? Quella della radio?"
"Eh?"
"Sì, quella che passano il video su MTV!"
"Ah"
"E' questa?"
"No, questo è un giornale."
"..."

mercoledì, marzo 29, 2006

Il giorno dopo

Cari amici vicini e lontani.
Soprattutto lontani,
Ieri questo blog è stato visitato da quasi seicento persone.
Colpa di Pippo Franco e merito del Daveblog, dei Julie's Haircut, di Giulia e della miriade di altri che hanno citato, linkato, copiato o semplicemente letto il post . E che ringrazio.
Era dai tempi delle Tracolle che non succedeva una cosa del genere.
Per la prima volta un mio post ha raggiunto più di cento commenti.
Lasciamo stare poi che siano cento commenti che parlano più di Toti e Tata che di altro, ma, insomma, mi pare sempre una signora cifra.
Volevo dire a tutti che oggi si torna alla normalità, il successo non mi ha cambiato, che sono sempre lo stesso, che non mi sono montato la testa, e che tra una serata mondana ed una birra al bar con gli amici, preferirò sempre la seconda delle due.
Ora vi saluto e vi ringrazio ancora. Per l'affetto, la stima e la simpatia con cui mi lasciate "la firma vostra".

(Se ne va agitando la mano a cucchiaio, aggiustandosi la corona sulla testa, mentre le ancelle gettano petali di rosa e nel frattempo la banda del quartiere intona Where Is my Mind? in segno di rispetto.)

martedì, marzo 28, 2006

1956 - 2006


Un anno fa, o poco più, avrei dovuto trascorrere un'ora con lui.
In un pub.
Avremmo parlato di rock and roll, di Swell Maps, di quanto i Pavement e i Sonic Youth avrebbero dovuto innalzargli un monumento, di come si cade e di come ci si rialza.
Di una vita passata a convivere con la definizione seminale. Vedersela appiccicata ovunque, come un cartellino per il prezzo. Uno di quelli che trovavi anche su i suoi dischi.
Prima seminali anch'essi. Poi solo onesti.
Ma comunque degni di rispetto.
Ci saremmo anche scolati qualche pinta di birra. Probabilmente finendo per chiacchierare di cosa si prova a salire e scendere dal palco, del farlo da una vita, di caricare e scaricare il furgone, macinare chilometri e passare notti insonni. Di rimettersi in pista come uno sbarbatello qualsiasi e rifare da capo la gavetta. A quasi cinquant'anni.

Purtroppo non è successo. Altri impegni mi hanno spinto altrove.
Ho sempre pensato però che prima o poi quest'opportunità mi sarebbe stata data di nuovo.
Vista anche la sua seconda giovinezza.
Non succederà più.
Nikki Sudden è morto ieri. O forse domenica.
Era un grande. Ma questo credo che non sia io a doverlo dire.

(Se qualcuno si stesse chiedendo cosa diavolo fossero gli Swell Maps, qui c'è un video che spiega come la cosa migliore da fare sia uscire di casa e comprare un disco.)

lunedì, marzo 27, 2006

Ma quant'è fico quello lì...


Quando il trash chiama, devo rispondere.
Anche se provo a dire di no. Anche se cerco di far finta di niente, di girarmi dall'altra parte e chiudere gli occhi. Come da bambino, la domenica mattina, quando non volevo che mi portassero a messa.
Ma è più forte di me, non ci riesco.
Sento una forza dentro che neanche io so come, lo stomaco che si intorcìna, le gambe che tremano e la testa che gira. Tanto.
Troppo. Come un Tagadà in una giostra di provincia.
Uno di quelli con la musica techno in sottofondo e il più tamarro del paese che si alza in piedi nel momento più difficile del "giro".
Lui mi chiama, ed io rispondo. Punto.

Il mio quartiere, in questi giorni, è scosso da due eventi politici di sicura rilevanza ed interesse.
La domenica al parco degli anarchici, organizzata con lo scopo di spingere la gente all'astensione, e l'incontro ospitato da un centro sociale tutto pizzica e vino del Salento per celebrare i 28 anni dell'occupazione di un'area del Policlinico Umberto Primo di Roma.
Proprio mentre stavo tornando a casa con le buste della spesa e l'idea che una serata tirata su per onorare sei persone che per dieci giorni, nel marzo del '78, occuparono un piano di un ospedale sia una metafora clamorosa dello stato attuale della sinistra, m'imbatto in un cartellone.
Autonomisti Democrazia Cristiana+PSI.
Scritto così.
Incontro-Spettacolo con Pippo Franco.
Ore 17, Teatro San Luca, via di Gattamelata...
Ve lo dicevo: lui chiama ed io rispondo.

Un'occasione da non perdere. Dal cancello di casa mia a quel teatro mi separa solo la bellezza di centoventotto passi.
Li percorro tutti senza fiato, con l'ansia tipica di chi sta per assistere ad un evento.
Sono le 18 e 15. Il comizio di Pippo Franco dovrebbe essere iniziato un'ora e un quarto fa.
Ma non è così, è evidente.
Fuori l'atmosfera è strana: un gruppetto di giovani con l'aria di chi la notte fa le ore piccole per appendere i manifesti di Alternativa Sociale scruta il popolo dei Democratici Socialisti Cristiani.
Popolo molto esiguo, a dire il vero. Solo una manciata di signori con il vestito buono della domenica e la coccarda di partito appesa alla giacca.
Decido comunque di entrare.
Dentro la situazione non cambia: il Teatro San Luca non è piccolo, ma dentro ci sono solo trenta persone.
Età media: settant'anni.
Più un bambino.
Più me.

Stanno iniziando, sul palco ci sono due esponenti del partito più Pippo Franco.
Il vecchietto che insieme a me presidia l'ultima fila mi chiede: "Ma quale cazzo è Pippo Baudo?"
Io mi limito ad indicare il tizio vestito di nero con il fazzoletto (rosso) che sporge dal taschino.
Francesco Pippo tira fuori un foglio.
La gente chiede se è lungo come quello di Prodi (il foglio).
Francesco Pippo risponde che no, che ha solo mezz'ora di tempo.
La gente ride.
Francesco Pippo ringrazia il pubblico, dice che non gli è mai successo di trovarsi ad una platea così... così... così...
Straordinaria. Eccezionale anzi.
Dalla pausa celentaniana si capisce che avrebbe voluto dire tutt'altro. Ma tant'è.
Come prima cosa si proclama "Frate prestato alla politica", dicendo che lui è lì per provare un discorso che farà in altra sede il tre aprile e per spiegare come l'ironia sia l'arma dei santi.
Che Padre Pio era un barzellettiere e che anche lui si ritiene un po' santo (tra mille virgolette) perché regala momenti di gioia alle persone.
La gente vuole ridere. Lui invece è serissimo.
Inizia il discorso raccontando la sua esperienza nei gruppi di "preghiera carismatica" (dice proprio così) e di come l'abbraccio ad una non vedente in cerca di conforto gli abbia cambiato la vita ("Pensavo di far star meglio lei, ed invece sono stato meglio io").
Poi parte letteralmente per la tangente unendo le radici cristiane dell'Europa (ancora?), quelle culturali del cattolicesimo in Italia, Pasolini, Ezra Pound e le domeniche di "fervido scambio intellettuale" passate in compagnia di Andreotti e Guttuso (e forse anche di Ciccio Formaggio e del Mago G Galbusera).
Francesco Pippo è lì per dare "una svolta intellettualistica" alla politica italiana.
Il pubblico non capisce, lui tira in mezzo le Lecciso, Daniele Interrante, Costantino Vitagliano e Benedetto Croce.
Manca solo la Signora Leonida.
"Siamo passati direttamente dall'Italia dello sviluppo a quello del sottosviluppo", dice.
Il pubblico è impassibile.
Francesco Pippo se ne accorge e chiosa: "Credo che qui dovrebbe andarci un applauso."
Applauso.
Ora è il turno di un altro candidato che spiega perché la Nuova Democrazia Cristiana Socialista ha deciso di candidarsi con il Centro-destra ("Siamo con quelli che hanno chiari in testa i problemi economici del paese e contro chi vi tassa i conti correnti e grida in piazza che ci vogliono dieci, cento, mille Nassiriya"). Vorrebbe parlare di più, ma non ha tempo. Deve andare da un'altra parte, ma, tranquilli, non c'è da preoccuparsi. Ora Pippo Franco ci farà ridere.
Ma non è così, Pippo Franco dice che troppo tardi anche per lui, che è venuto con la stessa macchina dell'altro candidato per cui non può permettersi di rimanere a piedi.
L'altro candidato dice chiaramente che se rimane gliene manderà un'altra apposta a prenderlo.
Francesco Pippo glissa, ma promette di tornare il giorno dopo le elezioni per fare uno spettacolo comico.
Non importa vincere o perdere. Lui ci sarà e ci farà ridere "pure se Prodi ce farà piagnere".
Questa volta il pubblico si sganascia.
L'Unto dal Pingitore saluta, e mentre dice che all'uscita "firmerà qualcosa", fissa il sol dell'avvenire.
Io torno a casa.
Sono le 18 e 30.
Per strada nessuno canta: "Te-Te-Te-Tette-le fai da te."

sabato, marzo 25, 2006

Ma mi si nota di più se faccio il post sul Caimano o...



Succede sempre. Dico sempre. Fin da quando ero bambino.
Non importa in che luogo mi trovi e in che circostanza, non importa di cosa si stia parlando e chi ne sta parlando, se è Natale, Pasqua, Capodanno, oppure una cena qualsiasi, una pizza, un panino mangiato appoggiati ad un muretto, non importa.
Quello che non cambia mai, è il momento in cui uno (un amico, un parente, un passante, uno che potrei essere anche io) entra in una discussione a gamba tesa - non importa neanche su cosa verta la discussione, chi l'abbia iniziata, ecc ecc - tirando fuori una frase che non c'entra niente ma c'entra.
"Te lo meriti Alberto Sordi".
"Continuiamo così, facciamoci del male."
"D'Alema, di' qualcosa di sinistra"
"Faccio cose, vedo persone... ".

Ecco, ogni volta che le frasi di Nanni Moretti vengono prese ed utilizzate come fossero proverbi - gettate sul tavolo verde con lo stesso piglio con cui un giocatore abituale svela un poker di fiori, sparpagliate come bastoncini di shanghai in cui il gioco non lo vince chi non tocca gli altri, ma chi si dimostra più figo, intellettuale, intelligente, più tutto- ogni volta, sento un impulso irrefrenabile. Una vocina nel cervello che ripete, insistentemente:"Io Nanni Moretti lo odio", o almeno dovrei odiarlo. Anche se non ce la faccio.
Più che lui, dovrei odiare "l'ambiente" che circonda i suoi film ed il suo personaggio, quello di quelli che lo chiamano Nanni e che aspettano ogni sua uscita come gli ebrei non smettono di aspettare il secondo avvento.
Dovrei odiarlo per quel suo vizio sacrosanto che lo porta a nascondere tutti i suoi film dietro un riserbo eccessivo che più che creare aspettative serve solo per far irritare la stampa, al punto che le settimane precedenti all'uscita di un suo lavoro vengono spese a tirare ad indovinare come diavolo sarà quel maledetto film.
Mentre il giorno dopo il giorno dei giorni (ah, l'enorme...), quello dell'anteprima alla stampa, si assiste ad un vero e proprio tsunami di notizie pronte ad inondare le pagine dei giornali e buttare giù tutto quello che trovano sul loro cammino.
Per "La stanza del figlio" avevo aspettato l'uscita in videocassetta, irritato da articoli, servizi televisivi, approfondimenti, che dal giorno prima della sua uscita al giorno della Palma d'oro ed oltre, non avevano risparmiato neanche il minimo dettaglio finendo per fare l'analisi psicologica anche del tubo di scappamento della macchina su cui Moretti e famiglia cantavano Insieme a te non ci sto più.

Così non ho resistito e ieri sono andato a vedere "Il Caimano", un po' per l'attenzione e la curiosità che ogni film di Moretti riesce comunque a destare in me, un po' perché li ho visti tutti, ma soprattutto per conquistarmi la possibilità di aprire un giornale o accendere la televisione senza imbattermi nel finale del film, spiattellato sotto il titolo della prima pagina del secondo quotidiano d'Italia (ad esempio), e per non lasciare il tempo ad un'irritazione montante di conquistare spazio e prendere il sopravvento.
E come al solito, sono bastati pochi fotogrammi per capire che di questo film tutti parleranno per il motivo sbagliato. Che le frasi citate negli occhielli dei giornali saranno quelle insignificanti (perché volutamente note e stranote) pronunciate dal Caimano in persona, che andranno a chiedere pareri a Sandro Bondi e Fassino, che s'interrogheranno sui voti che sposterà o meno, che prenderanno i dati degli incassi e li metteranno al confronto con i voti.
Ché in Italia va così e l'arte non può essere presa per quella che è.
Non interessa a nessuno, bisogna rivestirla di connotati più scintillanti, sezionarla ed interpretarla nel modo migliore. Quello che serve per fare scandalo ed aizzare vespai. E basta.

Indurre a pensare che Moretti faccia solo politica piuttosto che cinema è l'arma che hanno quelli che sperano che certi film vengano visti poco, o almeno da una parte sola.
Quelli che con il colore e la connotazione cercano di allontanare la gente (certa gente, quella che non sa e non vuole sapere) dalle sale, mentre ad avvicinarsi rimangono solo gli adepti.
Quelli che non ne avrebbero bisogno.

L'unico vero dato di fatto è che Moretti è Moretti nello stesso modo in cui (fatte le dovute proporzioni) David Lynch è David Lynch e Scorsese è Scorsese.
L'unico regista italiano attualmente in pista ad essere immediatamente riconoscibile, ad avere uno stile e una cifra stilistica sua e soltanto sua. Un linguaggio personale che non trova eguali all'interno del cinema italiano.
Moretti è Moretti almeno quanto Muccino e Virzì non saranno mai Muccino e Virzì.
Per cui scatta il gioco degli elementi riconoscibili, il celo-celo-manca con le figurine che vengono sostituite dalle scene.
L'ammissione che i film di Moretti ruotano sempre intorno agli stessi archetipi come l'ossessione nevrotica per lo sport (celo), il rapporto conflittuale con le donne (celo), l'inadeguatezza costante nei confronti della vita (celo) e certe piccole scene apparentemente insignificanti e che invece rappresentano in pieno la poetica del suo autore, come i ballettini delle maestranze, gli scatti di rabbia uniti a corse fatte a perdifiato e quel momento, irrinunciabile, in cui il regista si filma alla guida della sua auto, con la solita polo rossa addosso e la solita canzone da cantare a squarciagola.
Tutto il resto, come diceva il Califfo, è noia.
Esattamente come i sorrisi a settantottomila denti del Caimano.
Esattamente come certe frasi dei film usate solo per fare bella figura.

(Ho cambiato la foto, scusate, ma questa immagine mi piace da matti. L'ho presa da qui)

venerdì, marzo 24, 2006

Tutto quello che avete letto e sentito dire sul South By Southwest a portata di mouse


"Cazzo, ma i Flaming Lips li hai visti?"
"No, alla fine ho preferito tutte quelle band che difficilmente mi ricapiteranno davanti."
"Eh, però era un secret gig in un club, una cosa unica. Un evento."
"Infatti non so neanche dove hanno suonato. Però ho visto Wayne Coyne per strada mentre camminava dentro una palla seguito da uno stuolo di persone."
"Eh?!"

Quello che dice "eh?!" sono io, quella che ha visto "Wayne Coyne per strada mentre camminava dentro una palla seguito da uno stuolo di persone" è Marina.

Lui, invece, è Wayne Coyne per strada mentre camminava dentro una palla seguito da uno stuolo di persone.

Ovviamente ad Austin, ovviamente la scorsa settimana.

Sempre dal South By Southwest:
i Flaming Lips che rifanno Bohemian Rhapsody

Morrissey che, tra una rissa e l'altra, canta How Soon Is Now

Due frammenti del set degli Arctic Monkeys

Ted Leo & The Pharmacists
al party di Stereogum

Jamie Collum
sempre ad un party, ma stavolta quello di Paste Magazine

I Gomez intenti a suonare un pezzo del loro nuovo e pompatissimo album

La mitica Annie che zompetta sul palco dell'Eternal

I sempre sottovalutatissimi Elf Power mentre suonano A Dream In Sound

I Clap Your Hands Say Yeah ripresi dal palco

E poi: Essex Green, The Organ, Eagles Of Death Metal, The Boy Least Likely To, Tilly and The Wall, Brakes, Robert Pollard, Snow Patrol e Editors.

E per finire una chicca dall'edizione duemilacinque: Vanilla Ice!!!

(Tutto ovviamente via YouTube)

giovedì, marzo 23, 2006

What we talk about when we talk about music (my united states of whatever)

Tapes'n Tapes-The Loon

E' difficile parlare di un disco su un blog senza pensare che a qualcuno risulterà che ne stai scrivendo solo perché prima di te lo ha fatto Pitchfork, qualche mblog americano, forse quelli della mala e forse la pubblicità.

E' ormai parere diffuso che tutta o quasi la musica che gira intorno al mondo blog stia lì solo perché qualcuno ha deciso per primo che quello sarebbe stato il trend dominante del momento, il nome da spendere per risultare "avanti" e che irrimediabilmente finisce per fare il giro e risultare indietro che più indietro non si può.
Come se l'importante fosse vincere e non partecipare.
Come se a contare non fosse l'opinione in sé, ma solo il fatto di esprimerla.

Per cui è con mille remore che mi appresto a scrivere di un disco di cui hanno già parlato tutti, ma tutti tutti tutti (e qualcuno addirittura in modo eccezionale).
Un disco che da mesi- è del duemilacinque- dorme sul mio scaffale, quello degli album arrivati dall'America che finiscono a prendere polvere in attesa che i management si sveglino e rispondano alle mille mail che sorvono per pubblicare una canzone in una compilation. Magari quella del giornaletto.

I Tapes'n Tapes vengono da Minneapolis, sono in tre e dicono di chiamarsi Tapes, 'n e Tapes, anche se nelle foto della press-sheet appaiono in quattro ed è chiaro come l'acqua del lago Michigan che si divertono come matti a prenderci per il culo mentre cerchiamo di capire quale nuova diavoleria dovremmo inventarci per etichettarli.
The Loon”, il loro primo disco “ufficiale” (prima c'era stato solo un ep autoprodotto), suona vecchio come la porta che scricchiola di una casa malandata, dà l'idea di essere stato registrato con mezzi di fortuna, e nel tempo in cui un gruppo normale riesce a malapena ad accordare gli strumenti, eppure, come direbbe Galileo, “si muove”.
E fa muovere anche chi lo ascolta. Anzi, fa proprio saltare sulla sedia, come solo le cose veramente buone sono in grado di fare. Nelle canzoni di “The Loon” vivono spettri di Bright Eyes e Arcade Fire, coretti e storture che fanno tanto Pavement come solo i Pavement facevano loro stessi, e quel pop misto inquietudine che hanno inventato i Pixies e che in duemila hanno cercato di riprendere.
Il tutto filtrato attraverso una sensibilità da gruppo indie degli anni che corrono (leggi anche furbizia) che potrebbe catapultarli nelle stelle, come nelle stalle, senza spostarli minimamente di una virgola.
E la cosa sorprendente, dopo tutta questa miriade di nomi, è che i Tapes'n Tapes sono o r i g i n a l i.
Proprio così, scritto con uno spazio tra una lettera e l'altra.
E' presto per dire se rimarranno, oppure se il destino ha previsto per loro un futuro da spendere facendo a cazzotti nell'armadio delle next big thing finite ancora prima di diventare next, figuriamoci big thing, ma viene spontaneo esternare entusiasmo (quella cosa lì che va di pari passo con la passione) e scommettere i miei personali due centesimi- quelli che servono per comprare l'album sul sito della band- sul loro talento.
Per il resto, chi vivrà vedrà. L'importante, adesso, è cercare di reperire in ogni modo (legale o illegale, fate voi) il disco in questione e provare ad inserirlo almeno una volta nel lettore.

Il resto sono solo chiacchiere (o pippe).
Come si diceva una volta: quello che conta è la musica.
E qui ce n'è un bel po'.

martedì, marzo 21, 2006

Nuove frontiere del farsi pubblicità utilizzando indirizzi mail a caso*

Oggi, via myspace, mi è arrivata questa:



Ovviamente rimandava ad un sito porno a pagamento (ed io che mi ero illuso di avere della fan).

*Il titolo è solo un modo per non dire Spam.

lunedì, marzo 20, 2006

Dategli l'Oscar, il Golden Globe, la Palma D'Oro, L'Orso D'argento, il Leone di Mirra... dategli quello che vi pare, ma vi prego, dateglielo

Al South By Southwest tra miriadi di gruppi, Morrissey, De Luchi, scimmie artiche, tapes'n'tapes, Marine e Teoni, è stato presentato in anteprima LoudQuietLoud.

Non è un gruppo, ma un film.
Un film sui Pixies.

Il trailer - via mod blog- mi ha fatto venire l'acquolina in bocca, e anche qualcos'altro.
(E speriamo che quest'estate tra una data in Spagna ed una in Francia, ci scappi qualcosina anche da noi, visto che già siamo stati ignorati nel duemilacinque e nel duemilaquattro ci siamo dovuti accontentare di un Jamming Festival)

(Dai: Urbino, Neapolis, Rock In Umbria... possibile che nessuno ha voglia di investire sui Pixies?)

sabato, marzo 18, 2006

I keep Dolcenera from the door...



A Wolf At The Door è la canzone che preferisco di "Hail To The Thief".
L'unica a suonare perfettamente come una canzone dei Radiohead (è una canzone dei Radiohead), pur staccandosi totalmente dallo stereotipo yorkiano degli ultimi anni: voce in falsetto forsennato e parole strascicate al limite dell'incomprensibile. (Io comunque adoro lo "stereotipo yorkiano").
Sopratutto l'inizio, quando la voce di Thom finisce quasi per assomigliare a quella di Stephen Malkmus e va in basso come forse mai nella carriera del gruppo.

Bene, A Wolf at The Door deve essere piaciuta molto anche a Dolcenera.
Un molto talmente enorme che ha permesso a quest'ultima di ricantarla (riscrivendo il testo in italiano) e di inserirla nel suo ultimo album (album che non so assolutamente che titolo abbia, ma non è importante).
La versione ovviamente è incommentabile.
Giudicate voi: Il Luminal d'immenso.

Sì, anche il titolo è incommentabile.
Almeno per me.

Nel frattempo i Radiohead hanno dichiarato di essere in alto mare con le registrazioni del nuovo album.
Non è che, per caso, anche Thom si sia innamorato di Baccini?

giovedì, marzo 16, 2006

Una parolina di sei lettere che fa rima con "flanella"

Chiedi cos'era il grunge, più o meno come gli Stadio chiedavano chi erano i Beatles.

Io questa domanda me la sono fatta e mi è anche capitato di farla.
A Mark Arm dei Mudhoney, per la precisione.
Lui invece di rispondermi con un prevedibile: "Io il grunge non lo conosco però conosco Hiroshima", si è lanciato in un'ardita considerazione su quanto una parolina inutile sia diventata sinonimo di un qualcosa che probabilmente non è mai esistito.
Oddio, se ci penso bene ha detto una cosa tipo: "Non me ne frega un cazzo del grunge e non me ne fregava neanche all'epoca, ma tutti mi chiedono cosa provo quando sento quella parola. Cosa provo? Nulla. Piuttosto: cosa provi tu?Che effetto ti fa sentire parlare di grunge, ora, nel duemilasei?", ma per me più o meno voleva dire quello che ho scritto io poco sopra.
Credo.
Il grunge non è mai esistito, è vero.
Era rock, era punk, era pop. Era un qualcosa che c'era sempre stato, ma improvvisamente sembrava nuovo. Riverniciato. O per lo meno "lavato con Perlana".
Ma se penso al grunge, a quegli anni e a quei gruppi, penso alla mia adolescenza. Alla scoperta di certa musica che a catena ne chiamava altra.
Alla scoperto di un mondo diverso, nascosto.
Penso alla mia formazione.
I primi passi di un cammino che mi avrebbe portato altrove.

Era così, è sempre stato così.
Fino ad oggi. Fino alla scoperta che al mondo esiste qualcuno disposto a comprarsi questo:



Fino a che non ho letto questa notizia:
"Il ritorno degli Alice In Chains potrebbe concretizzarsi con la presenza del possente Phil Anselmo (nella foto) alla voce, cosa che già è accaduta lo scorso 10 Marzo durante una trasmissione televisiva in onore alle sorelle Wilson, meglio conosciute come Heart."

Ed ho capito cosa prova Mark Arm.

E forse lo provo anche io.

And wherever you've gone...and wherever we might go It don't seem fair...today just disappeared... We were but stones...your light made us stars

Uno è per le notizie.
Quelle da pagina di cronaca locale dei grandi quotidiani. Quelle che non parlano di elezioni, duelli televisivi, attentati e guerre. Quelle che leggi in dieci secondi, distrattamente, per poi saltare di corsa alla cultura. Quando non direttamente allo sport o allo spettacolo.

Due è quando quelle notizie, quelle di prima, quelle scritte in piccolo, cambiano con il passare dei secondi. Diventano grandi, enormi quasi. Uno tsunami di angoscia e dolore che devasta tutto quello che trova sul suo cammino.

Tre sono le persone. Quelle che conosci bene, quelle che non conosci affatto e quelle di cui assisti alla vita con gli occhi di uno spettatore. Le persone che in un modo o nell'altro ti girano intorno anche se magari sembra quasi che tu non te ne accorga. Le persone che alla fine conosci anche se non le conosci per davvero, ma di cui hai ricordi, parole e momenti che volenti o nolenti fanno parte di te.

Quattro è per chi ieri sera è andato a dormire illudendosi di stare dentro un incubo e per chi questa mattina si è svegliato con la sensazione strana di non aver capito ancora bene cosa sia successo. Quelli che nonostante tutto vogliono obbligarsi a non comprendere. Quelli che accettare vorrebbe dire arrendersi. E non è il momento. Non ancora.

Cinque è per mia sorella che forse ancora non ci crede.
Sei è per me che non ho il coraggio di chiamarla.

Sette è per gli sciacalli. Quelli che scrivono nome e cognome. Quelli che chiedono le foto. Quelli che vogliono sapere solo per avere qualcosa da dire. Quelli che non hanno rispetto di un cazzo.

Otto è per i pensieri strani. Quelli che non si dovrebbero mai avere. A ventiquattro anni come a trenta o a diciannove. Quelli che ti fanno stare male e non ti lasciano la forza di reagire.
Quelli che indietro non ci torni.

Nove è per chi non c'è più.

Dieci è questo post. Quello che non avrei mai voluto scrivere.

lunedì, marzo 13, 2006

... mancando un attimo (il post di uno che vorrebbe dire tante cose, ma che preferisce non dire nulla)

Quando si spengono le luci, e si accendono le lucine...



... tutto quello che rimane. In dissolvenza

(Paolo Benvegnù Ensemble - Live at Big Mama - 12/3/06)

venerdì, marzo 10, 2006

Una giornata vissuta bestemmiando copiosamente

Allora, la faccio breve.
La fredda cronaca: questa mattina entro nella pagina di editing del blog e trovo un disclaimer che mi avverte di essere stato segnalato alla redazione di Blogger come spamblog.
Io non so se questo blog è uno spamblog, in realtà non so neanche cosa voglia dire spamblog, nel senso che forse, per i zelanti amici di Blogger, spamblog è uno che parla, segnala e cerca di dare un po' di visibilità alle cose che gli piacciono.
E allora sì, sono un cazzo di spamblog e tutto quello che pare a loro.

Però non capisco perchè l'ultimo post che ho scritto sia stato cancellato dalla pagina principale e mandato direttamente in moderazione.
Provo a ripubblicarlo, ma non posso. Sono uno spamblog e gli spamblog non possono pubblicare un cazzo. A meno che non arrivi un omino con la tuta arancione da meccanico a prendere il mio blog e a scagliarlo per terra - seguendo la lezione di Hansel- per far uscire i file che ci sono dentro.
Il tutto ciò deve avvenire entro dieci giorni. Altrimenti bye bye [indiessolvenza].
Au revoir, ciao ciao con la manina e sventolio di fazzoletti.
Siccome sono un ragazzo calmo e tranquillo, vado nel panico. Non per niente, ma solo perché l'idea di un cazzone che la mattina si sveglia e segnala ad un sito che un altro cazzone sta compiendo un reato (perché alla fine fare spam è un reato non dico quanto scippare una vecchietta, però...) e i gestori del sito pensano bene di bloccarlo (il secondo cazzone, dico), mi fa andare in bestia. Anzi, mi fa proprio girare i coglioni, come neanche le bolas di un gaucho argentino, o di un Gaucci perugino. Uno incazzoso, insomma.

Dopo poche ore sparisce anche un altro post. Quello su Mondo Marcio ("Mica sei stato tu fra'?").
Mi chiedo se entro i famosi dieci giorni il blog non imploderà un post alla volta.
In un certo senso, è quasi divertente.
Qualche minuto fa è arrivata una mail da Blogger: non sono uno spammer, posso ricominciare a sparare cazzate. Forse è la volta buona che lo faccio da un dominio tutto mio. Anche se la cosa non è che mi faccia sentire poi così entusiasta (il dominio rende tutto troppo serio ed io non voglio essere serio per niente). I post cancellati tornano al loro posto.
Io ne scrivo un altro, questo. Solo per avvertire quelli che magari in giornata sono passati da qui e non c'hanno capito uno stracazzo.

Ringrazio Achille, Antonio e Giulia per la solidarietà espressa pubblicamente. E tutti gli altri che si sono interessati a cosa stava succedendo a questo blogghettino e che da questa mattina fino a poche ore fa mi hanno fatto passare una giornata a rispondere mail come neanche una segretaria di Stefania Nobile quando gli affari andavano alla grande.
E a me piace quando gli affari vanno alla grande.

La stessa situazione è toccata anche a Mondo Oltro. Sono ormai quattro giorni che Chiara e Daniele non possono postare. Spero che l'omino arancione arrivi presto anche da loro.
Altrimenti lo aspetto sotto casa con una mazza ferrata.
Però vestito da donna. Così sono un po' frocio e un po' fascista, ma soprattutto un po' coglione.
Quasi quanto il segnalatore (o la segnalatrice) mascarato (o mascarata).

giovedì, marzo 09, 2006

Se scrivi un post a punti è perché non lo fai da un po' e ormai lo fanno tutti e insomma certe volte ti senti solo e vuoi essere come gli altri

_ World Wide Suicide. Il nuovo singolo di una band che si chiama Pearl Jam che, si può pensare tutto quello che si vuole, un po' di attenzione la merita sempre (mi sembra, come sembra ottimo che il singolo sia disponibile in download gratuito e legale direttamente sul sito ufficiale della band).

_ Ecco, uno non fa in tempo a decidere di tornare ancora una volta a Barcellona, archiviare il Primavera come la carta festival estero da giocarsi quest'anno che subito Benicassim ti tira fuori l'asso di bastoni (che è una carta che fa sempre la sua porca figura): i...
Non scrivo neanche il nome, dico solo che se fosse successo quasi due anni fa un certo nucleo di certe persone avrebbe un ricordo grandioso da aggiungere alla lista dei ricordi grandiosi ( ma ne verranno altri, lo giuro). Doppietta?

_ Visto che il pezzo dei Non Voglio Che Clara ha scatenato un po' di attenzione sulla band bellunese (ottima attenzione, restando almeno alle mail ed alla maggioranza dei commenti che sono arrivati), rendo noto che l'album uscirà per Aiuola Dischi il 21 marzo e che fino ad allora si può passare il tempo ascoltando l'inedito regalato dal gruppo a Rockit. Insieme a Cary Grant. Ovvio.

_ Glueing All The Fragments è il nuovo video di Yuppie Flu. Lo so, è molto pucci pucci. Ma non è per forza un male, anzi (poi, se non sbaglio in questo testo c'è la frase: "First of all I trust in you, more than that I love you" che non so bene perché, ma mi è rimasta in testa fin da subito). Tra l'altro gli Yuppie Flu sono in tour e il 25 marzo saranno a Roma con Popolous, Studiodavoli e Remo Remotti(!). Il 23 però fanno Larsen. Oh yeah.

_ Marzo ed aprile verranno ricordati come "i mesi in cui è uscita una carrettata di dischi che neanche la carrettata di fighe che neanche Colpo Grosso". La citazione è coltissima. Anche se non sembra. Comunque: Adam Green, Loose Fur, Calexico, Flaming Lips, Motorpsycho, Matmos, Jolie Holland, solo per citarne alcuni. Di qualcuno è facile che se ne parli anche qui. Presto. Prestissimo.

_Dato che praticamente sto parlando solo di musica italiana, dico anche che in questi giorni Paolo Benvegnù è in giro con il suo nuovo minitour (in cui verranno presentati in anteprima pezzi del disco attualmente in lavorazione). Per sapere quali città toccherà,basta andare sul sito della Cyc. Oppure domenica al Big Mama (per i romani e limitrofi).

_ Sempre a proposito di uscite, esce oggi il numero di LosingToday che doveva essere in edicola un paio di settimane fa, ma che per problemi che hanno a che fare con esse, i, a ed e è stato bloccato nei magazzini dei distributori fino a questa mattina.
Non dico molto, solo che in copertina ci sono i Clap Your Hands Say Yeah, in un'intervista molto più lunga ed approfondita di quelle che vi è capitato di leggere da altre parti (siamo volati fino in Francia per realizzarla). Dentro c'è un po' di tutto, tra cui un cd con Casiotone For The Painfully Alone ed un po' di robine italiane niente male come The Death Of Anna Karina, Father Murphy e Canadians. Visto che quando il gioco si fa duro i duri incominciano a giocare, abbiamo deciso di non dare peso alle beghe legali e far uscire il prossimo numero nella data prevista inizialmente. Quindi aprile. Quindi dopo solo un mese. Quindi se mi vedete meno presente su queste pagine, o sensibilmente esaurito, ora sapete perchè.


_ Non c'entra niente. Ieri sera ho visto Paolo Rossi a teatro. Non lui... il fratello!
Paolo Rossi di tutta questa generazione di comici è sempre stato il mio preferito, forse perchè riesce a comunicare qualcosa pur restando sempre sospeso e surreale.
Uno che non cade mai nella satira banale e nella denuncia, ma riesce a sfiorarle tutte e due unendole con una teatralità non comune tra quelli che fanno il suo stesso mestiere. Una Teatralità maiuscola. Lo spettacolo nuovo (che poi è una via di mezzo tra uno spettacolo di diciotto anni fa e un match di improvvisazione teatrale) non mi ha fatto impazzire, anche se la storia dei bambini che per non sentire le storie dei padri, si isolano e giocano, giocando inventano altre storie che poi si materializzano e a loro volta generano altre storie, mi ha lasciato senza fiato.
Appena sono uscito ho detto che da morto mi piacerebbe essere sepolto in una gelateria. Nella vasca del cocco.
Non lo so perché e non so perché lo sto scrivendo, ma so che mi andava di scriverlo.
Forse perché non c'entra un cazzo. Che è sempre un po' più di niente

martedì, marzo 07, 2006

50.000 fans can't be wrong: Diventa Marcio in cinque facili mosse

Le guide pratiche di [indiessolvenza]



Carissimi amici, amiche e cowboy gay che dovevano vincere un Oscar ed invece sono rimasti con le mani in mano, l'uomo paffuto che si nasconde dietro il blog (sì, proprio dietro la O) ha deciso di venire in vostro soccorso offrendovi l'incredibile opportunità di fare successo sfondando nel mondo nella musica.
In che modo?
Semplice, molto semplice. Basta seguire alla lettera il corso rapido per diventare Mondo Marcio.
Cioè non proprio Mondo Marcio, ma come Mondo Marcio, il popolare rapper milanese che sta monopolizzando l'airplay di tutte le radio e tv dello stivale.

Secondo il sentire comune, marci si nasce e non ci si diventa.
Niente di più falso: il marciume si costruisce piano piano, come la consapevolezza. Diventare marci necessita un lavoro certosino sulla persona e sulla personalità.
Inanzitutto dal punto di vista fisico.
A differenziare un vero marcio da (categoria a caso) un fruttarolo, per esempio, è senza dubbio l'espressione del viso. Il viso del marcio è il viso di chi le ha viste tutte. Un viso segnato dagli eventi. Anche da quelli più dolorosi. E' il viso di un diciottenne con lo sguardo di un cinquantenne.
Lo sguardo di chi le ha provate tutte. Anche una in più di Rocco Siffredi.
Per far conferire al viso un'espressione marcia è consentito fare uso di piccoli abbellimenti tra cui emerge chiara e trionfante la bandana nera da pirata (da preferire a quella bianca che piuttosto che fare "marcio", finisce per fare premier. O nano. O settantenne calvo).
Ma c'è di più: per essere un vero marcio, bisogna parlare da vero marcio.
In questo caso è opportuno seguire l'esempio del Vate, lui, Mondo.
Tutti voi sentendo la sua canzone avrete sicuramente pensato: "Ma che dice questo?! Ma che rappa con uno straccio in bocca?" Ebbene sì, cari amici, ci siete andati vicino.
Non è uno straccio, ma tutta una serie di piccoli batuffoletti di cotone che inseriti correttamente tra le guance ed i denti rendono possibile pronunciare le parole in una stramba via di mezzo tra un gangsta rapper americano ed il commisario Zuzzurro della famosa coppia comica Zuzzurro e Gaspare.
Ovviamente a tutto ciò è necessario unire uno slang da vero ragazzo di strada.
Ora, esistono due possibilità concrete. La prima è quella di riprendere lo slang del nostro eroe e riprodurlo pari pari. E' facile, basta troncare alcune parole che normalmente usereste per intero e colorirle un po' con i modi di dire dei giovani.
Esempio: "Mamma ha detto a Papà di comprare l'Imodium perché aveva mal di stomaco", in marcese diventa "Ma' dice a pa' di comprare la roba che fa smette di cacà..." (bisogna ovviamente apprezzare come l'utilizzo di "roba" al posto di "Imodium" renda la frase ancora più credibile).
La seconda strada percorribile è quella di crearsi un vero e proprio slang personale, puntando tutto sull'originalità e la bizzarria di alcuni dei termini usati.
Esempio: "Assapora il flow e vedi se ti piace, quando senti queste rime sai già che non hai pace", una frase tutt'altro che poco sentita che potrebbe assumere nuove sfumature se riempita di parole insolite.
"Assapora il batrace e vedi se ti piace, quando senti ste parolone sai già che ti trema il cippardone".
Lo so, così non vuol dire nulla, ma figuratevi se non arriva un ermeneuta della lingua a dipingere le vostre parole di nuovi e inaspettati significati.

Ora ci siamo, manca pochissimo. Sapete come vestirvi e in che modo parlare, bisogna solo trovare la forma musicale con cui volete buttarvi nella mischia (in questo momento è consigliato l'hip hop, ma non trascurerei neanche il nu-metal e qualsiasi forma consenta l'uso della rima) e decidere il tipo di storie che si vogliono raccontare.
Perché sì, è prerogativa del Marcio quella di dire delle cose. Non importa che tipo di cose, l'importante è che siano dolorose. Talmente tanto dolorose da dover sembrare per forza vere. Anche qui esistono diversi tipi di approccio alla materia: il più semplice e meno appagante consiste nell'andare sui siti dei rapper americani, usare il traduttore automatico di Google e rimpolpare le liriche con riferimenti al vostro paese e alla realtà sociale nella quale vivete.
Il consiglio che vi do io, invece, è quello di trasformarvi in piccoli cronisti ed incominciare ad osservare quello che vi circonda partendo dal contesto familiare, fino ad arrivare alla vostra cerchia di amici ed oltre.
Ovviamente, però, è necessario filtrare il tutto attraverso lo sguardo doloroso che rende un marcio un marcio credibile.
Se il vostro amico Bruno, il libraio, è uno di quelli che cambia donna una sera sì e l'altra pure e poi, come se non bastasse, passa ore a raccontare le sue avventure nei minimi particolari, voi dovete ascoltarlo con interesse e poi riadattare tutto in modo da farlo sembrare interessante anche una volta inserito nel contesto del grande piano di marcificazione universale.
Per cui la storia di Bruno che esce ogni sera con una diversa diventa: "Hai saputo di Bru' che ha spento una cicca sul culo di Fra', ora che succederà se la scoprono ma' e pa'..."
Basta poco, eppure non è facilissimo. Diventare marci è un lavoro che necessita di applicazione e dedizione, ma una volta raggiunto l'obiettivo le soddisfazioni saranno tantissime.
Talmente tante da diventari ricchi marci.
Praticamente fracichi.

lunedì, marzo 06, 2006

...'till we get more damage done...



Il nuovo disco dei Liars va ascoltato dalla fine per essere compreso.
Un po' come quando si prende in mano un libro per la prima volta e si salta subito all'ultima pagina. Così, solo per vedere l'effetto che fa, senza curarsi della trama e degli scompensi che questo insano gesto è in grado di provocare.

Va ascoltato dalla fine, da The Other Side of Mt. Heart Attack. Per la precisione.
La canzone che chiude l'album è una vera sorpresa.
Una carezza in un pugno. Oppure il contrario.
Una nenia d'amore di una dolcezza disarmante, quella che non ti aspetteresti mai da chi passa il suo tempo alle prese con streghe e tamburi.
Già, i tamburi.

"Drum's Not Dead" è un percorso di ritmi vorticosi e percussioni tribali che si abbracciano e si perdono annegando in un mare di suoni impalpabili ma al tempo stesso minacciosi.
Una sorta di liquido amniotico da cui emergono cantilene e litanie, sussurri e grida.
La voce è solo uno strumento in mezzo ad altri strumenti. Lì solo per generare massa, "suono".
Colore.
In alcuni tratti sembra di avere a che fare con l'ennesima evoluzione dei Radiohead post "OK Computer" (basta ascoltare la parte finale del primo singolo It Fit When I Was a Kid per farsene un'idea), in altri emergono più chiari i riferimenti a certa musica d'avanguardia di stampo europeo (il disco è stato registrato a Berlino, e si sente).
Se il precedente "They Were Wrong So We Drowned" rappresentava la distruzione dei cliché della forma canzone, "Drum's Not Dead" è "i nuovi edifici che si ricostruiscono" (ogni riferimento a fatti, persone, cose e gruppi musicali in cui milita Blixa Bargeld è estremamente poco casuale) e che tornano ad essere "tradizionali" seguendo però regole tutt'altro che codificate.
Un po' come se quei palazzi di poco sopra fossero costruti con le fondamenta al posto dei terrazzi, le porte al posto delle finestre, e nonostante tutto finissero per risultare poco meno che perfetti.

Perfetti come un percorso da fare all'indietro, stando bene attenti a dove si mettono i piedi, tenendo sempre gli occhi sulla strada e cercando di evitare le buche.
Partendo dalla fine. Ovviamente.

venerdì, marzo 03, 2006

Io se fossi Vessicchio

Volevo scrivere un post su Sanremo.
Anch'io (da pronunciarsi con spiccata cadenza inglese, come Madonna a Torino negli anni '80).
I miei personali two cents su quello che dopo cinquantasei anni ancora viene sottotitolato come "Festival della canzone italiana".

L'idea era questa: raccontare la mia breve ma segnante esperienza sanremese.
Quella da invitato radiofonico nella seconda era Fazio alle prese con la collateralità spiccia di sosia pavarottiani, Solangi, Leoni di Lernia, Mini Reitani e la centralità di cantanti di varia natura (grazie a Dio era l'anno di Gazzè/ Bersani/Subsonica/Avion Travel/Tiromancino/Carmen Consoli/Moltheni).
Quella di una settimana a spasso per la musica venduta un tanto al chilo, presa, tagliata e sbattuta sul banco della macelleria metaforica chiamata discografia italiana.
Una settimana tra gente che faceva a botte (letteralmente) per ottenere un'intervista, e presunti fotografi free lance che spendevano le notti al freddo a dormire sulle panchine davanti agli alberghi.
Un salto all'indietro dentro al trash profondo e senza uscita che si nasconde dietro una coltre di glamour spiccio.

Volevo farlo, ma ho cambiato idea.
Ieri sera ho visto gli Ameba 4 ("Meno male che ci siamo persi l'uno, il due e tre", Gialappa's Band), sorta di Radiohead all'acqua di rose che nel mondo reale verrebero immediatamente ignorati e che nel calderone sanremese finiscono quasi di fare la figura degli sperimentatori.
Nel comunicato stampa che la loro casa discografica si diverte a diffondere in giro, dicono più o meno letteralmente di aver scoperto uno strumento dimenticato e di averlo rilanciato.
Bene, quello strumento è il theremin. Roba che ce lo avevano sul palco pure gli Skunk Anansie commercialoni del freddo post orgasmico. Roba che secondo me oltre a non essere stato mai dimenticato è pure piuttosto di moda. Ma tant'è, Sanremo è un mondo tutto suo che non tiene affatto conto della realtà delle cose.

Tutto ciò per dirvi che secondo me il Festival di Sanremo lo devono vincere i Non Voglio Che Clara. Il loro nuovo album esce poche settimane dopo la fine della kermesse ( ora mi manca solo da scrivere: "Splendida cornice"), non ha un nome. O meglio, ce l'ha anche non avendolo. Ed è un disco stupefacente che sa di anni sessanta e cantautorato che fa spallucce alla poesia, senza concedere nulla di nulla alla retorica parolaia classica da canzone all'italiana. Disarmante come un Tenco senza la pistola, ma con la stessa capacità di lasciarti senza fiato. "Perchè in ogni bugia c'è sempre un po' di morte, in fondo c'è tutto quello che vorrei lasciare in disparte".
Non lo dico io, ma Cary Grant.
La canzone più bella del festival.
Ecchisenestrafrega se non partecipa.

giovedì, marzo 02, 2006

Dalla finestra... il paese reale

In questo momento, all'angolo della strada davanti al giardinetto, di fronte casa mia, un gruppetto musicale con basi e ragazza cantante chitarrista, sta cantando (perfettamente amplificato) parole come:
"Non ho più incertezza perchè ho trovato la salvezza... Gesù".

Subito dopo ha preso la parola un tizio dalla spiccata cadenza tedesca (no, non IL TIZIO DALLA SPICCATA CADENZA TEDESCA), che come neanche in una strip di Sturmtruppen sta raccontando che: "Sono stati prezo a kalci perckhé parlavo a tutti di mia fete..."
Ed altre amenità varie.

Lo so che non dovrei, ma ho molta paura.
Tanta.
Pure troppa.

Update: Ora una ragazza sta tuonando contro: "Quelli che vanno a destra e sinistra, nei divertimenti, nei maghi, nelle promiscuità sessusali!"(Con ovvia enfatizzazione della voce proprio su "sessuali punto esclamativo").
Io sto cercando un disco degli Impaled Nazarene da mettere a tutto volume.
Ho le casse vicino alla finestra...

Aggiurnament dell'update: Si sono spostati di pochi metri, non li vedo più ma li sento ancora sproloquiare a volume da Vasco a San Siro nel 1987. Mi sono appena reso conto che hanno un furgone la cui fiancata recita: "Salvezza in Gesù".
Come le orchestre di liscio e gli Africa Unite.

mercoledì, marzo 01, 2006

E la grandezza della mia morale è proporzionale al mio successo...


Ormai lo saprete tutti, sui blog e i forum musicarelli in pratica non si parla d'altro:
Manuel Agnelli degli Afterhours, durante un concerto al Fillmore di Piacenza, è sceso sul palco e si è azzuffato con uno spettatore reo di averlo insultato.
A quanto letto e detto in giro, pare che la causa di tutto sia stata la scelta degli Afterhours di suonare per lo più canzoni prese dal disco in inglese.
Scelta non condivisa dalla maggioranza del pubblico, che aspettandosi ben altro repertorio ha deciso di lasciarsi andare con fischi ed insulti, provocando una reazione da parte del gruppo fatta di bonarie prese per il culo ed insulti veri e propri, fino ad arrivare al tristissimo epilogo.
Tristissimo e fortemente censurabile.

Sicuramente il gesto di Agnelli non è giustificabile in nessun modo, anzi, ma quello che mi è capitato di leggere su alcuni siti è decisamente peggio.
Per qualcuno gli Afterhours sono stati colpevoli di "non aver avvisato che si trattasse di un tour in cui i pezzi venivano fatti in inglese" (essì, dovevano mettere un cartello fuori, scriverselo in fronte, fare qualcosa insomma), per altri non è stato giusto che al pubblico pagante non sia stato permesso di cantare in coro (e in italiano) le canzoni per cui avevano aperto il portadindini.

Ora, dico io, ma da quando ai concerti ci si va per fare i coretti?
Cioè, sì, capita di cantare pezzi a squarciagola, ma da quando questo è diventato il fine ultimo?
Mi è successo e mi succede di aver assistito a concerti. Tantissimi.
Alcuni belli, alcuni brutti, alcuni medi.
Alcuni non pervenuti, nel senso di talmente innocui da finire nel dimenticatoio dopo dieci minuti appena infilata la porta di casa, o del locale, o di quello che vi pare a voi.
E da quando ci si indigna e si strepita se una scaletta non è quella che uno aveva sperato di ascoltare mentre faceva la fila prima di entrare?
Certo, succede che uno si trovi davanti al gruppo che ha aspettato di vedere per una vita e che quest'ultimo decida di mettersi a suonare per intero proprio quel disco, l'unico, che ti ha fatto cagare (per dire, a me la versione anglofona delle "Piccole Iene" non è piaciuta. Un po' per come sono cantati i pezzi - non dico pronunciati, ma proprio cantati - un po' perchè ritengo Manuel Agnelli uno dei pochi autori di testi in lingua italiana veramente degni di nota e trovo che la sua scrittura "inglese" sia ancora in fase di studio e per forza di cose non altrettanto incisiva).
Può succedere, come può succedere che si bestemmi allegramente per i soldi tirati fuori per vedere un gruppo che ti ha deluso.
Ma passare agli insulti e ai fischi mi sembra una cosa più che incomprensibile.

Ho visto i Radiohead dal vivo nel giugno del 2000. "Kid A" sarebbe uscito qualche mese dopo, ad ottobre per la precisione. I Radiohead proposero una scaletta che pescava quasi interamente da quel disco, se non addirittura dal disco dopo.
Nessuno però si è azzardato a gridare qualcosa, anche se magari volevano Creep, Karma Police e tutte le altre facilmente raggruppabili in un eccetera, eccetera.
Solo dopo quasi due ore, all'ennesimo "this is a new song" pronunciato da Thom Yorke, qualcuno ha pensato bene di esternare (scherzosamente) un po' di malumore, beccandosi come risposta un simpatico: "Guarda quanto è bello questo parco, fatti un giro, prenditi una birra e torna fra dieci minuti. Vedrai che ti accontentiamo".
Poi, ovviamente, hanno attaccato una canzone nuova. Che era Everything in its Right Place, mica The Thin White Line.
Nessuno ha più osato dire a. Anzi.

Continuo a vivere con la convinzione che la musica sia arte, e come tale l'artista che la produce deve essere libero di agire fottendosene ampiamente del modo in cui il pubblico potrà recepirla.

Poi, chiaramente, Manuel Agnelli ha fatto un gesto stupido, ma i veri pugni sono quelli che il pubblico italiano si è tirato da solo nei coglioni.
Ancora una volta.


aprile 2005
maggio 2005
giugno 2005
luglio 2005
agosto 2005
settembre 2005
ottobre 2005
novembre 2005
dicembre 2005
gennaio 2006
febbraio 2006
marzo 2006
aprile 2006
maggio 2006
giugno 2006
luglio 2006
agosto 2006
settembre 2006
ottobre 2006
novembre 2006
dicembre 2006
gennaio 2007
febbraio 2007
marzo 2007
aprile 2007
maggio 2007
giugno 2007
luglio 2007
agosto 2007
settembre 2007
ottobre 2007
novembre 2007
dicembre 2007
gennaio 2008
febbraio 2008
marzo 2008
aprile 2008
maggio 2008
giugno 2008
luglio 2008
agosto 2008
settembre 2008
ottobre 2008
novembre 2008
dicembre 2008
febbraio 2009
marzo 2009
agosto 2009

Powered by Blogger



My Feed by Atom
My Feed by RSS


Mp3 and video links posted on this site are for evaluation purposes only. If you like them, buy the CDs and support the artists. Questo blog non rappresenta alcuna testata giornalistica. Anzi, non rappresenta proprio un cazzo.

webmastra: vale