Primavera Sound 2005 Report (LT 07 Preview)
Stephen Malkmus - Home Alone (LT 06)
Adam Green - American Idol (LT 05)
Low... forever changes (LT 05)
Revisionismi: J Mascis - Martin And Me (LT 05)
Sono un ribelle, mamma (Write Up n.2)
Tra le pareti (www.julieshaircut.com)
Broken Social Scene: all in the family (LT04)
Revisionismi:Weezer-Pinkerton (LT04)
Le parole che non ti ho detto (MarieClaire feb 05)
Revisionismi: Scisma-Armstrong (LT03)
Meg: essenza multiforme (LT03)
Greg Dulli e Manuel Agnelli: Matrimonio all'italiana (LT03)
American Music Club e R.E.M.- Once were warriors (LT03)
La lunga estate dei folletti (LT02)
Not tomorrow!No manana!Today! (LT02)
Blonde Redhead sulle ali della farfalla (LT01)
Oltre la traversa (Il Mucchio Selvaggio 2002/2003)


Weeds



lunedì, luglio 31, 2006

Cose che si perdono mentre si è impegnati a mettere i dischi in un festival punk rock (la scena madre)

Lei passeggia per la strada centrale di un piccolo centro abitato.
Si avvicina una macchina.
Rallenta.
Il guidatore tira giù il finestrino e dà un colpo di clacson.
E' tutto chiaro: è soltanto lo squallido modo che un certo genere di maschi usa per manifestare apprezzamento verso un'esponente dell'altro sesso.
Lei capisce, potrebbe stare zitta, ma senza pensarci risponde:
"A soreta!"
Il guidatore chiude il finestrino, accellera e se ne va. Lontano.
Dall'altra parte della strada, un tale osserva la scena in silenzio, anche lui potrebbe trattenersi, ma non ce la fa: "A bella! Che te sei magnata oggi che sei così acida?"
Io, probabilmente, in quel momento stavo passando Teenage Kicks degli Undertones.

Personaggi e interpreti:
Per la prima volta sullo schermo, il guidatore nella parte di se stesso.
Io nella parte di io.
Lei nella parte di lei.
Con la poco amichevole partecipazione, nella parte del tale, di...

(Un devoto di Padre Pio ritratto nel momento della preghiera)

venerdì, luglio 28, 2006

Nel boschetto della mia fantasia...

Il titolare qui (AHAH!) scappa dal caldo opprimente della metropoli e fugge in quel di Fiuggi, la città delle acque e dei vecchi, dove oggi e domani si terrà il Dirtwood Days.
Un festivalino indie, ma pure rock, pop, punk e tutt'eccose che si tiene in un bellissimo bosco.
I gruppi presenti sono molto underground, ma meritano.
Questa sera ci sarà la "girl night", che detta così sembra un po' sessista e invece forse lo è davvero. Sul palco saliranno: Betty Ford Center, Sweetsick, Diet Kiss, Snake of June e i "nostri" Cat Claws (meglio conosciuti come "The great bubba machine").
Domani invece i toni si fanno più cupi, ma non troppo, con: The Black Circus Tarantula,Free Sex, Run&Gun Fleven, BeHive, Shout, Tsunami, Mosquitos e gli (wow!) Swearing at Motorists.
Dato che a Roma in questi giorni non c'è poi sto gran cazzo da fare... la trasfertina è straconsigliata.
Non contento, domenica, il titolare qui con il titolare lì (inedito duo only for one night) andrà a mettere i dischi in un festival punk rock nella città natale del tamarro dell'ultimo Grande Fratello.
Speriamo di uscirne vivi.

giovedì, luglio 27, 2006

Letture estive ("Vieni qui che io lo so che cos'è Barbie e il rock and roll...")


Perversione.
Secondo il dizionario: " Distorsione perversa di una tendenza, di un istinto, di un impulso, di un pensiero o di un comportamento che di per sé sarebbe normale: p. del gusto, del senso estetico".
Secondo me, invece, è quel meccanismo che mi porta a dare spazio e concedere attenzione a cose che andrebbero ignorate. Peggio ancora, sepolte e dimenticate.
La consapevolezza che una porcata è una porcata è una porcata, ma nonostante tutto non riuscire a staccarle gli occhi di dosso.

Per farla breve: qualche settimana fa mi sono imbattuto per puro caso in un sito Internet.
L'ho guardato per un po' e poi l'ho chiuso.
Ci sono tornato diverse volte. Tantissime.
Talmente tante che ho finito per leggerlo tutto.
Così, senza capire bene perché.
E' diventato la mia nuova droga preferita.

Non è la Rai-Dieci anni dopo è il sito dedicato all'epopea dorata di Non è la Rai e delle ragazze che animavano il programma.
Chiunque sia stato tredicenne nel 1993, ma anche gli altri, sa sicuramente di cosa sto parlando e non può ignorare l'impatto devastante della creatura di Gianni Boncompagni e Irene Ghergo sulla cultura pop di quegli anni.
Ovunque si parlava di Non è la Rai, nei giardinetti delle scuole durante la ricreazione e nei salotti bene del paese. Realtà diverse accumulate da un unico denominatore: l'auricolare di Ambra Angiolini. Roba da far scendere in piazza le femministe e scatenare interrogazioni parlamentari.
Ogni giorno milioni di persone, maschi in prevalenza, si incollavano davanti al televisore all'ora di pranzo solo per seguire le gesta di centinaia di ragazzine in età prepuberale impegnate a dimenarsi, cantare in playback e mettere in scena giochi che neanche alla sagra del paese.
Per non parlare di quelli che passavano giornate fuori dalle porte del Centro Palatino con la speranza di ricevere un cenno ed un autografo da una delle suddette.
Il nulla elevato a potenza. Il due di coppe che ammazza "il carico" e si porta a casa la briscola.
I Sex Pistols di casa nostra. In pratica.

Non è la Rai- Dieci anni dopo è il vero apice del revival anni novanta che da qui ai prossimi cinque anni monopolizzerà i media.
Un sito che ogni giorno si apre con la segnalazione del compleanno della ex di turno e si snoda in pagine e pagine di perle: il catalogo discografico della trasmissione (compilation, gli album originali delle ragazze, l'intera discografia di Ambra...) reso disponibile in mp3, una vasta sezione di materiale video e soprattutto un database contenente informazioni su tutte le ragazze che hanno partecipato alle varie edizioni del programma.
Da non perdere le interviste in cui vengono svelati alcuni segreti del dorato mondo dello showbiz (persone che ancora oggi si scambiano insulti e scortesie) e vengono mostrate le ragazze per come sono e cosa fanno ora.
Un enorme crogiuolo di sogni infranti ed aspettative disilluse.
Una sfilza di "sognavo di essere Madonna e sono finita a fare la cameriera di Burger King".
Una galleria di gente che ha toccato il cielo con un dito ed è tornata sulla terra a fare i mistieri più impensabili per riuscire a rientrare nel giro oppure, semplicemente, accettando di vivere una vita forzatamente normale.
Ragazze che fanno un provino al giorno.
Ragazze che non ne fanno più.
Ragazze che hanno fatto figli ed altre che sono passate da un matrimonio all'altro.
Ragazze che sono morte.

Il grande freddo.
Cazzo.

mercoledì, luglio 26, 2006

La vera canzone dell'estate



Si chiama Let it b e la cantano Ligabue, Pelù e Max Pezzali.
Forse.

(Via Espn Classic).

Per il resto: ieri sono arrivate le tanto attese sentenze del processo di appello a quella cosa che chiamano con un bruttissimo neologismo e che riguarda alcuni fatti e misfatti del calcio italiano.
Mediaset ha seguito l'evento con uno squallido teatrino messo su dalla redazione di StudioSport.
Praticamente tutti i giornalisti ex forcaioli della primissima ora (Liguori, Piccinini, De Zan...), subdorando gli sconti di pena che sarebbero arrivati di lì a poco, si lanciavano in peana garantisti in favore del Milan (ma va?) e della Lazio (di cui avevano in studio alti dirigenti).
Al momento della proclamazione delle sentenze, Piccinini (l'essere più aziendalista del pianeta terra) si è autoproclamato giornalista libero, intoccabile e scevro da qualunque condizionamento.
Usando ovviamente la semi assoluzione del Milan (ma dai?) come argomento principe di questa tesi. Fantastico il tizio che, in diretta da Firenze, diceva che le sentenze di primo grado erano state ingiuste nei confronti di quei milioni di italiani scesi in piazza per festeggiare la vittoria contro la Francia.
Ancora una volta: era meglio se l'alzava Zidane la coppa.

martedì, luglio 25, 2006

E arriverà sempre un po' di trash a condire una giornata di merda con una risata

Oltre ad aver pubblicato in Italia il singolo di 7 Nation Army dei White Stripes, ora hanno finalmente ristampato anche "Elephant".
Con questo sticker, per così dire, onomatopeico.


(Vabbè, questo è uno scherzo, ma questo no. Grazie Maxcar e Fidelio, l'autore della foto).

Nel frattempo Canale 5 ha preso a mandare in onda il promo della nuova versione di Buona Domenica (aaargh!) in cui si vede Paola Perego intenta ad annunciare le novità del programma dal maxischermo del Circo Massimo (con le esultanze dei tifosi ai rigori decisivi montate come se fossero le reazioni alle parole della Perego).
All'improvviso scatta la torcida e tutti cominciano a gridare in coro: "Pa-pa-pa-pa- pa-paolaaa".

Sto quasi cominciando a pensare che questi Mondiali avrebbe dovuto vincerli la Francia.
Po-po-porca palettaaaaa!

domenica, luglio 23, 2006

Super Massive Black Hole


"Blue Lines", il primo disco dei Massive Attack, uscì nel1991.
A "Guerra del Golfo" in corso.
Fino ad allora per quelli della mia generazione la guerra era stata solo "quella cosa di cui parlano sempre i nonni e che dovrei studiare anche se non ho voglia".
Saddam Hussein invase il Kuwait nel giorno del mio dodicesimo compleanno.
In televisione davano una tappa del Blonde Ambition Tour di Madonna.
La notizia della possibile terza guerra mondiale per me resterà per sempre legata all'immagine di Louise Veronica Ciccone sdraiata su un letto a forma di cuore mentre un ballerino di colore mima un cunnilingus.
Nei giorni seguenti la guerra iniziò davvero, in tv non facevano altro che raccontare la corsa della gente (italiana in Italia) verso i supermarket con la missione di fare razzia di ogni genere alimentare disponibile ché, signora mia, non si sa mai.
Io e il mio amico Massimiliano ascoltavamo le notizie provenire dai telegiornali, mentre guardavamo ad intervalli regolari di mezz'ora la scena di Madonna e del ballerino di colore.
Ci spiegarono che Bush era il buono e Saddam il cattivo.
Accettammo questa spiegazione senza farci troppe domande e a settembre, al ritorno a scuola, tappezzammo le lavagne con l'acronimo "B.U.S.H. Bisogna Uccidere Saddam Hussein".
Gli insegnanti, invece di spiegarci, ridevano e ci incoraggiavano.
Proprio a causa della guerra, "Blue Lines" fu costretto ad uscire con la sola intestazione "Massive". Attack per l'epoca era una parola troppo forte.
Me li fece ascoltare, proprio in quel periodo, un mio cugino.
"Vedi questi? Questi sono la colonna sonora delle manifestazioni che facciamo contro la guerra."
Io non capivo: che senso aveva manifestare contro una guerra in cui era chiaro a tutti fin dall'inizio quali erano i buoni e quali i cattivi?
Perché mio cugino andava contro i buoni?
E soprattutto: perché ascoltava quel disco di canzoni un po' rap, ma non proprio, un po' soul, ma non proprio, un po' un sacco di cose, ma non proprio?

In quindici anni, anche noi abbiamo avuto tutto il tempo di assuefarci all'idea della guerra.
Hanno tentato di farci familiarizzare con concetti terrificanti come quello di "guerra preventiva".
Hanno tentato di farci credere, tra mille altre cose, quanto l'uso della guerra sia necessario.
Peggio ancora: normale.
Ancora faccio fatica a capire, a distinguere il bianco dal nero, a trovare un colpevole e una vittima, l'aggressore e l'aggredito.
Leggendo i giornali di questi giorni sembra di essere tornati al 1991, con la maggior parte della stampa impegnata a parteggiare per qualcuno contro qualcun altro (il chi varia sensibilmente da testata a testata).
Una volta la chiamavano propaganda. E forse avevano ragione loro.
L'altra sera, i Massive Attack hanno dedicato una canzone ai civili di Beirut sotto le bombe.
Era un pezzo di "Blue Lines".

sabato, luglio 22, 2006

Cinque anni fa

Io lo so che parlare di certe cose su un blog "non sta".
E so anche di non essere la persona adatta a farlo, che da questo blog ci si aspettano sempre canzuncelle e cazzatine, e qualsiasi tentativo di fare un altro tipo di discorso diventa il classico passo più lungo della gamba.
Lo so.
E me ne sbatto.
Cinque anni fa in Italia è successo qualcosa di terribile, inaudito.
Cinque anni fa, per tre giorni, questo paese è riuscito a trasmettere al mondo intero il suo peggio.
Mentre i capi del mondo decidevano con quale vino annaffiare le loro chiacchiere, dall'altra parte della strada un manipolo di coglioni metteva a ferro e fuoco la città, mentre le forze dell'ordine ne approfittavano per massacrare qualsiasi cosa con due gambe, due braccia, una testa e magari una bandiera (ma anche no) gli capitasse a tiro.
Un ragazzo ha perso la vita.
Non era un eroe, tutt'altro.
Era un mio coetaneo. Un mio coetaneo che ogni tanto faceva qualche cazzata, allo stesso modo in cui capitava a me e a tanti altri di fare lo stesso.
Io ho avuto la possibilità di recuperare ed imparare dai miei sbagli. Lui no.

Non m'interessa parlare dell'aspetto politico della vicenda. Non è il caso.
Quello che mi preme di più è mettere per iscritto il dolore di una famiglia che ancora, dopo cinque anni, non riesce a rassegnarsi.
Vogliono la verità i genitori di Carlo Giuliani, anche se per la legge devono accontentarsi solo di un'archiviazione.
Vogliono la verità, e per mostrare quella che secondo loro è la cosa che ci va più vicina hanno deciso di finanziare un documentario in cui vengono mostrate tutte le foto e i filmati che gli inquirenti non hanno ritenuto opportuno mettere agli atti e che invece sembrano rivelare qualcosa di molto interessante.
Quale verità per Piazza Alimonda? esce in questi giorni in dvd.
E' possibile acquistarlo in edicola, insieme a Liberazione.
Altrimenti si può sempre scaricare da qui.
In formato mp4
E in dvx

Non lo so perché sto facendo questo post.
Ma sento di doverlo fare.
Punto.

giovedì, luglio 20, 2006

Sapevatelo ("C'è chi parte con un Raga delle sera e finisce per cantare Cucurucucù Paloma...")

Che J Mascis avesse preso una scuffia per la santona palindroma Amma era cosa nota da tempo.
Che il nostro eroe cercasse di fare proseliti anche tra i suoi colleghi, alla maniera del Tom Cruise scientologista, era immaginabile anche se mai finora realmente provato.
E invece...
Invece, il mese scorso, J ha portato tutto il suo irsutismo in quel di Toronto per dare vita ad un concerto speciale in compagnia dei Broken Social Scene.
Il tutto con lo scopo di raccogliere fondi proprio per Amma.
In compagnia dei Broken Social Scene, in questo caso, vuol dire letteralmente "con" i Broken Social Scene. Sullo stesso palco, negli stessi minuti, per suonare le stesse canzoni.
Che sono quelle (con qualche eccezione) degli album major del Dinosauro (appena ristampati "Green Mind" e "Where You Been").
Per capirci: quelle che Lou Barlow non accetterà mai di suonare.
L'accoppiata sembra funzionare.
Provare per credere:
Questa è l'intera registrazione del concerto (grazie Chia' e grazie Rbally).
Questo è il video live di Feel the Pain.
E questa (perdonate il pessimo audio) è la ripresa della canzone che ha fatto scoccare la scintilla tra le due parti: Almost Crime eseguita all' ATP dai Broken Social Scene con la chitarra imprevista di J Mascis.
Quasi quasi mi converto ad Amma pure io.

E comunque Magic Shop è ancora una canzone della madonna...

Ci sono io che mi riprendo a stento da una giornata che pare una versione ridotta della prima Guerra Punica.
Tu che cerchi di farmi ridere e fai finta di non prendertela mentre storco il naso e mi giro dall'altra parte.
E poi, ancora, io che piano piano provo a ricominciare e a pensare che forse, cazzo, sono proprio queste le cose che ti fanno ripartire. Che per un foglio di carta buttato nel cestino, c'è sempre un altro sotto da scarabocchiare e riempire fino a non trovare più neanche uno spazio vuoto.
Per ricominciare, ancora.
Tu guidi e ti arrabbi quando sbagli strada, nel frattempo cerchi ancora di farmi ridere, che non sia mai m'incupisca di nuovo e ricominci a sembrare come il sacco di un boxeur nel giorno dell'allenamento.
Joan, invece, è seduta davanti ad una siepe ed ha l'aria stanca. Dice che non vorrebbe togliersi gli occhiali da sole dalla faccia per nulla al mondo, anche se mentre parla lo fa spessissimo, senza rendersene conto.
Torino, Londra, Dublino, e Roma tutte d'un fiato le hanno lasciato addosso chiari segni. Tranne quelli del cuscino che vorrebbe ancora sotto la sua testa.
Parla, racconta, gesticola molto e fa sentire la sua voce.
Oppure sta lì in silenzio e ti ascolta mentre tu cerchi di non perdere il filo del discorso ed al tempo stesso ti gratti le gambe in lotta perenne contro le zanzare.
Io gioco a fare David Lynch, muovo la camera, cambio i filtri e cerco di non concedere al muro le testate di cui avrebbe bisogno.
Joan ha degli stivali bianchi da cowgirl che sembrano Golia contro il Davide delle tue ballerine a scacchi. Ha anche delle stelle tatuate sui polpacci, segno che se nella sua vita non fosse capitato un violino probabilmente sarebbe finita nelle Suicide Girls.
Racconta di canzoni scritte in cinque minuti, in cucina, tra un pranzo da preparare e qualche chiacchiera buona come diversivo.
E' irrequieta e calma. Lo Yin e Yang in poco più di un metro e sessanta.
Si alza, ci saluta e ci dà appuntamento a più tardi.
Tu guidi ancora la macchina e bestemmi bestemmie mute per la strada e la guida altrui, io guardo fuori e forse un po' inizio a sorridere.
Tanto che mi verrebbe da fare un gioco stupido tipo che io dico una cosa e tu ne dici un'altra che ci possa star vicino a rigor di logica.
Un gioco da fare per ore.
E un po' sto meglio.
Ché io sono io.
Tu sei tu.
E Joan As Policewoman.
Una che ha appena pubblicato un disco che è un capolavoro.
Quasi come Magic Shop.

lunedì, luglio 17, 2006

Piazza Cavouurrrrrr

Prima che i Clash diventassero i Clash, c'erano i London SS.
Praticamente: Mick Jones, Paul Simonon e un altro chitarrista dato per disperso dalla notte dei tempi.
Sempre in cerca di un cantante e di un batterista, pensarano bene di organizzare, con il manager manipolatore Bernie Rhodes, una serie di audizioni aperte a chiunque avesse voglia di tentare.
La leggenda vuole che un tale di Manchester, Steven Morrissey, scrisse una lettera ai futuri Clash. Una lettera accompagnata da una foto che probabilmente finì per essere il vero motivo per cui la sua richiesta non venne presa in considerazione neanche per un secondo.
Il ciuffo tirabaci sarebbe anche potuto andar bene, era il resto a non quadrare.
I London SS cercavano un frontman, un leader che fosse la quintessenza del punk.
Un duro, insomma.
Tutto il contrario di quel ragazzo che nella lettera citava Oscar Wilde ed aveva l'aspetto dello sfigato della scuola.
Qualche hanno dopo Steven Morrissey perse il nome e divenne il cantante della più importante band inglese degli anni '80. I London SS, invece, era già da un pezzo che si facevano chiamare Clash e ,più o meno consapevolmente, stavano mettendo un piede nella storia della musica rock.
Cosa sarebbe successo se Morrissey fosse stato "assunto", in che modo questo avrebbe finito per influire sul punk e che tipo di gruppo i Clash sarebbero diventati, rimane uno dei più grandi misteri di questo secolo e di quello precedente.

Morrissey e la sua band salgono sul palco di Ostia Antica poco dopo le 22.
Il colpo d'occhio è pazzesco: un antico anfiteatro romano con tanto di colonne e quant'altro.
Niente scenografia, se non i cipressi che fanno da contorno al parco naturale che costeggia il teatro ed un gong a cui è stato appiccicato l'adesivo "Tormentors".
La cassa della batteria è rivestita con la bandiera dell'Italia. Tutti i musicisti indossano la maglietta dell'Italia, il chitarrista ha tutte le cinte tricolore e noncurante del trash, ad un certo punto, non si vergognerà di sfoggiare un'orrenda Fender doppiomanico. Ovviamente anche questa tricolore.
Morrissey entra in scena vestito con pantaloni e camicia marrone. Una camicia marrone annodata sulla pancia. Un vezzo che farebbe apparire panzuto anche il più smilzo dei modelli di Dolce & Gabbana. Figuriamoci un uomo di mezza età.
Urla: "Mamma Roma" ed attacca Panic.
Così, subito, senza neanche avvertire.

Quando ero un teenager odiavo Robert Smith e Morrissey. Il primo per via del trucco e per i fan, il secondo perché lo ritenevo francamente insopportabile.
Borioso, pieno di sé, incostante.
Solo quando mi è capitato di riascoltare attentamente gli Smiths ho capito che poteva permetterselo.
La voce è quella di vent'anni fa, la presenza scenica pure.
Un crogiuolo di smorfie, mossette e battute che incredibilmente lo fanno sembrare anche simpatico.
Attacca Dear God, Please Help Me, ma dopo un inizio incerto la trasforma in corsa in You Have Killed Me. La scaletta presenta in gran parte brani tratti dagli ultimi due album, più qualche salto nel passato. How Soon Is Now e Girlfriend in a Coma (la mia canzone preferita degli Smiths), ed un paio di evitabili b-side (Ganglord e la cover dei New York Dolls, Human Being).
Invita la gente ad andare a comprare il suo disco da Ricordi o: "Messageri Musicali" (Sorry, I'm French), e conclude il concerto con una straordinaria versione di Life Is a Pigsty.
L'unico bis è Irish Blood, English Heart.
Non proprio un pezzo richiesto a gran voce.

Inchino e tutti a casa dopo poco più di un'ora e venti di concerto.
Un po' poco, ma va bene così.

Chissà cosa sarebbe successo se al suo posto ci fosse stato Joe Strummer...

sabato, luglio 15, 2006

Come Ed Wood. Le scottanti rivelazioni di [indiessolvenza]. Un post scherzoso di quelli che andavano di moda una volta.

La celebre cantante pop Syria...



e il celebre blogger dj ambasciatore del pop svedese Ebi (aka Polaroid)...



In realtà non sono altro che la stessa persona.

Ragionateci:

Li avete mai visti nello stesso posto contemporaneamente?

Il fatto che Enzo si sia presentato all'ultima serata di Losing My Badge vestito da Wonder Woman non vi ha ricordato nulla?

In una delle sue ultime apparizioni sanremesi, Syria ha presentato un pezzo che nella sua parte centrale conteneva un intermezzo fischiettato. Non vi sembra una chiara allusione al twee pop (genere musicale di cui l'intermezzo fischiettato rappresenta uno dei tratti fondamentali)?

Ma soprattutto: avete mai dato un'occhiata alla colonna dei link dei loro blog?

(PS: Se il prossimo disco di Syria assomiglierà almeno ad un'unghia dei suoi ottimi ascolti mi sa che ne vedremo delle belle).

venerdì, luglio 14, 2006

Ask me anything

Questi sono gli argomenti che non si possono affrontare intervistando Sufjan Stevens:

1. The 50 States
2. What State is Next?
3. Religion
4. American Politics
5. George Bush
6. sufjan's family upbringing
7. the new folk movement

Per cui credo che gli chiederò:

1) Ti sei mai reso conto di quanto le tue foto promozionali ti rendano simile a Camp Jim?
2) Secondo te è meglio il modulo a zona o la marcatura a uomo?
3) Che cosa ha detto Materazzi a Zidane?
4) Cosa pensi del cuneo fiscale?
5) Quelli di Lost sono morti oppure sono finiti in una dimensione parallela?
6) Meglio Gigi e Andrea o Totò e Peppino?
7) La supercazzola prematurata con scappellamento a destra del terapia tapioco?

giovedì, luglio 13, 2006

Che ore so' ma che ne so...

Metti una sera Manu Chao.



Venus in Furs dei Velvet Underground più che una canzone è un precedente.
Un manifesto estetico, la dimostrazione lampante che per raggiungere la perfezione in musica, a volte, basta poco. Pochissimo.
Solo due accordi ripetuti all'infinito. Punto.
Gli stessi due accordi. E un violino.
Il punk ha estremizzato ancora di più questo aspetto, seppur con intenti opposti, senza cercare di raggiungere alcun tipo di perfezione, ma facendo virtù dell'esatto contrario.
Tirare cazzotti sottoforma di canzoni. Canzoni di due accordi.
Ancora una volta.

Il Parco dell'Acquedotto Romano è un luogo bellissimo, suggestivo.
Un pezzo di periferia di Roma, estrema Tuscolana, con l'aria tipica del posto abituato per anni a fare da sfondo per Pasquette low-profile e mattinate di scazzo metropolitano.
Un Circo Massimo senza turisti, ma con gli immigrati.
Un posto bellissimo, mi ripeto.
Fa un effetto strano vederlo tutto agghindato del necessario che serve per ospitare un concerto: le transenne, i maxischermi, i baracchini che vendono panini, spillano birre e dispensano porchetta.
Il pubblico è pieno di famiglie con tanto di bambini, nonne e cugini di secondo grado.
Sembra la festa del quartiere.
Ma è il concerto di Manu Chao. Un quarantacinquenne che si veste come il matto del paese, ma con più carisma.

Io non lo so se Manu Chao abbia mai ascoltato in vita sua Venus in Furs, di sicuro conosce bene il punk. I Clash soprattutto.
E di sicuro conosce il modo per scrivere canzoni, a volte anche belle, fatte solo di un paio d'accordi. Conosce talmente tanto bene il modo che dal vivo l'effetto finisce per essere quasi stordente.
Due ore di concerto in cui i pezzi finiscono per assomigliarsi tutti, spesso e volentieri vengono anche ripetuti più di una volta e girano sempre intorno allo stesso canovaccio.
Inizio piano, con chitarrina, e finale forsennato un po' punk, un po' ska, un po' "buttiamola in caciara e famo salta' la gente".
Una specie di dj set con gli strumenti in mano in cui le canzoni confluiscono una dentro l'altra, finiscono e ri-iniziano continuamente. Senza sosta.

La prima volta che vidi Manu Chao dal vivo, nessun aereo si era ancora schiantato su un grattacielo, figuriamoci su due, nessun ragazzo si era beccato un proiettile in testa perché aveva un estintore in mano, il nostro paese non era coinvolto in nessuna guerra. Niente di niente.
Sarebbe successo tutto pochi mesi dopo, sembra essere successo tutto quindici anni fa.
Invece sono passati solo cinque anni.

La prima volta che vidi Manu Chao andavano di moda le tute bianche.
Tutti i concerti (anche quelli il più lontano possibile da qualsiasi connotazione politica) venivano interrotti sul più bello da una manciata di essere umani tutti capaci di parlare come se avessero un megafono conficcato in gola.
Manu Chao li lasciava fare e poi attaccava a suonare.
Le sue canzoni iniziavano tutte con la chitarrina, piano, e finivano in maniera un po' punk, un po' ska, un po' "buttiamola in caciara e famo salta' la gente."
Esattamente come adesso.
Con gli stessi slogan (maledetta "carrettera") e la stessa gente.
Ma senza le famiglie.
Un po' come spostare indietro le lancette dell'orologio e passare all'ora legale.
L'ora legale di cinque anni fa.
Prima dei cambiamenti, degli sbagli, delle scommesse perse e di quelle vinte.
Prima di tutto.

(Dopo Manu Chao si sono esibiti i La Phaze, band definita dallo stesso Manu come la migliore di Francia. Una specie di Asian Dub Foundation/Prodigy epoca "The Fat Of the Land".
Ho capito perché abbiamo vinto la coppa: lì è ancora il 1997. Manca un anno).

mercoledì, luglio 12, 2006

Zidane: un nuovo modo di risolvere i problemi

Semplice ed efficace.

(E per chi ancora si stesse chiedendo che cosa ha detto Materazzi, basta dare un'occhiata qui)

martedì, luglio 11, 2006

Psichedelia tutte le teste ti porti via...

Scomparso lo era da un po'.
Ora non tornerà più.



E che l'ultimo viaggio sia il migliore.

Syd Barrett 1946 - 2006.

lunedì, luglio 10, 2006

Quella volta che vidi la finale dei mondiali in un centro sociale

Arrivo al Forte Prenestino subito dopo gli inni nazionali, la prima persona che incontro ha una bandiera di Cuba indossata a mo' di mantello.
"Torniamo a casa?"
"Adesso? Dopo tutto quello che ho dovuto fare per parcheggiare? Sei pazzo!"

Attraverso i cunicoli del Forte, lasciandomi alle spalle i murales e il punk melodico che proviene dalla libreria.
Il maxischermo è stato allestito sotto un gazebo, alla sinistra del palco che viene usato, di solito, per i concerti. Mi rendo conto immediatamente di una cosa terribile: la luce del sole riflette sullo schermo.
Non si vede un cazzo. Praticamente.
Neanche il tempo di ambientarmi e salutare gli amici, che subito vengo rapito da quello che risulterà di gran lunga il personaggio cardine della serata: il commentatore.

Il commentatore ha un cappellino da baseball calato sugli occhi, ogni volta che il telecronista dice qualcosa di controverso, ogni volta che qualcosa finisce per attirare la sua attenzione, ogni volta che la sua condizione di schiavo dell'umorismo/posseduto dalla battuta prende il sopravvento su tutto il resto, si alza, leva l'audio dal mixer ed esterna ad alta voce le sue opinioni.
Sempre.
Il rigore della Francia viene accolto da tutti con madonne di vario genere.
Tutti eccetto i membri della sparuta delegazione francese.
Loro applaudono, inneggiano ai Blues e s'inchinano a Zidane.
Goal.

Mentre la partita dell'Italia si mette male, con il passare dei minuti diventano chiare le ragioni che hanno spinto i ragazzi del Forte Prenestino ad organizzare la serata.
Orgoglio patrio?
Attaccamento alla maglia?
Passione per il bel calcio?
Niente di tutto questo. Il motivo principale è... La Roma.
Totti, soprattutto, e Perrotta, in maniera minore.
Del resto non frega niente a nessuno, ogni volta che il pupone tocca palla si sentono urla di giubilo che neanche gli Argentini dopo il goal di Maradona contro l'Inghilterra.
Peccato che "ogni volta che il pupone tocca palla"vada calcolato sulla distanza tra ere geologiche che occupano lo stesso tempo dei minuti di gioco, ma durano molto, molto di più.
Quando Materazzi salta in cielo e la butta dentro, le urla risuonano per tutta Centocelle.
Dura poco, Mazzola critica aspramente Totti, ipotizza una sua sostituzione.
Il commentatore si alza in piedi, fa il solito insopportabile gesto di escludere l'audio ed annuncia:
"Se esce Totti spegniamo."
Porca puttana.

Il primo tempo finisce, l'Italia non gioca male, la Francia neppure, ma un po' meno bene.
Il commentatore decide di essere anche dj e colora l'intervallo con le sue fantastiche selezioni:
L'inno del Frosinone Calcio (!)
L'inno di Checco Zalone.
Una serie di brani hip hop.

Si ricomincia. Vieira si fa male poco dopo il ritorno in campo, ma ciò non fa perdere alla Francia il pallino del gioco. La ripresa fin dai suoi primi minuti rivela quella che sarà la sua principale prerogativa: non è una partita di calcio, è un'agonia.
A Lippi tocca prendere l'inevitabile decisione: fuori Totti e Perrotta, dentro Iaquinta e De Rossi.
I romanisti del Forte vanno in crisi profonda. Subito, come tradizione di sinistra vuole, scatta il dibattito.

"Basta, non me ne frega più niente. Mejo che vince la Francia a 'sto punto."
"C'hai ragione."
"Io comunque volevo tifa' la Francia dall'inizio."
"Fai bene, alla fine loro rappresentanto uno stato multirazziale. Pure la squadra, guarda, è piena de negri, algerini, arabi."

"Sì sì, poi er nostro è un paese demmerda. Il loro è mejo."
"Chi fa 'na canna?"

La partita prosegue. La Francia sfiora più volte il goal, l'Italia non riesce quasi mai ad uscire dalla metà campo.
Quando lo fa è per segnare in fuori gioco.
"E' perché ha levato Totti! Merda!"
Quando entra Del Piero, a pochi minuti dalla fine, si scatena il putiferio:
"Aho, ma mica starà a pensa' all'uccello?"
"Io spero che l'Italia perde, se no Der Piero diventa er salvatore della patria e tutti romperanno le palle ar capitano."

"Chi fa 'nantra canna?"
Prima del fischio finale, la regia internazionale stacca prima su un gruppo di francesi vestiti in maniera piuttosto buffo, poi su una ragazza bionda, sempre francese.
Scatta l'applauso.
"Chi è?"
" 'Na gnocca!"

Iniziano i tempi supplementari, la musica non cambia.
La Francia attacca, l'Italia cerca di non prendere goal.
Entra Trezeguet e finisce il primo tempo supplementare.
Inizia il secondo , dopo pochi minuti succede il parapiglia.
L'azione procede verso la metà campo francese, ma un giocatore italiano è per terra.
Materazzi è stato colpito ma non si capisce bene perché.
L'unico che sembra essere al corrente di quello che è successo è Gigi Buffon, che si sbraccia verso il guardalinee e va a parlare con l'arbitro.
Alla fine la Rai riesce a mostrare cosa è successo: Zidane ha colpito Materazzi con una testata in pieno petto.
L'arbitro va a parlare con il quarto uomo, torna in campo e tira fuori un cartellino rosso.
Scatta l'applauso, ma dura poco. In televisione viene ricordato come il tutto sia stato scoperto grazie a Buffon e questo scuote profondamente ii ragazzi del Forte.
"Spia!"
"Buffon è una guardia!"
"Oh, attenti che m'è cascato il fumo per terra."

Anche l'espulsione di Zidane diventa occasione di dibattito.
"Secondo me ja detto arabo demmerda."
"Gli ha chiaramente dato del mezzosangue."
"Sicuro."

Fatto sta che finisce anche il secondo tempo supplementare ed arriva il turno dei rigori.
Fino a quello finale, tirato da Grosso, è tutto una continua girandola tra scatti di gioia ed attacchi d'ansia.
L'Italia diventa campione del mondo per la quarta volta, viene inquadrato Napolitano e subito parte il coro ritmato: "Noi non siamo Na-po-li-ta-no."
L 'Italia riceve la coppa.
Materazzi viene insultato perché decide di portare al collo una bandiera tricolore.
Cinque secondi dopo la stessa cosa la fa Totti, suscitando ovviamente una reazione diversa.

Marco Civoli decide di far ascoltare, restando in religioso silenzio, l'inno di Mameli.
Al Forte quasi tutti fischiano l'inno. Il commentatore si alza, leva l'audio ed urla: "Ma che ce frega a noi dell' inno!"
Ritorna in console e fa ripartire quello del Frosinone. Lo cantano tutti.
L'Italia è campione del mondo.

"Sì, ma io non so' contento. Questa è l'Italia de Moggi, de Cannavaro..."
"Sì."
"E poi i francesi so mejo de noi, proprio come persone"
"Sì."
"E hanno pure giocato mejo."
"Sì... che c'hai una canna? Ho finito il fumo."

venerdì, luglio 07, 2006

E comunque...

Lunedì sono andato a vedere i Flaming Lips.
Non l'ho scritto perché mi sembrava pleonastico.
Ma c'ero.
E qui c'è la possibilità di vederli come li ho visti io.
Dalla mia prospettiva.



Questo è invece il video della versione live in studio di Bohemian Rahpsody.
Pare sia costato un dollaro e cinquanta.
Probabilmente tutti in crema solare.

(E adesso giuro che almeno per un po' parlerò d'altro. Promesso).

giovedì, luglio 06, 2006

Almeno una volta nella vita (sto diventando vecchio, lo so)

Bruce Springsteen in tour in Italia.
Ad ottobre.
Ancora una volta con la band delle Seeger Sessions.
Per sette date.
Una a Roma.
L'ultima.



Capisco tutto, ma far pagare 97 eurini tondi tondi la tribuna numerata del Palalottomatica (quanto le poltronissime dell'Arena di Verona), mi pare una roba da avvertire immediatamente il Codacons, la Nato. Tutti.

(Questo non vuol dire che da oggi non inizi, per me, una caccia ai biglietti di parterre.)

mercoledì, luglio 05, 2006

Everybody lets me down

Ore 15.00
Interno giorno.
Squilla la suoneria del Tricchebalacche.

"Pronto?"
"..."
"Pronto?"
"....................................... yeah."
"Oddio J, sei tu! Ma quante volte ti devo dire che non ha senso usare il telefono e poi stare in silenzio? Perché non provi con i segnali di fumo?"
"..."
"Vabbè, ho capito. Che c'è, devi dirmi qualcosa in particolare?"
"... uff..."
"Uff nel tuo linguaggio vuol dire che hai un problema. Giusto?"
"... yeah!"
"E allora, ti prego, parla, dimmi, fammi capire. Altrimenti è inutile andare avanti."
"......... coff coff... Ladyhawk. You know?"
"I Ladhawk. Ho capito. Sì, li conosco. Cosa hanno combinato i Ladyhawk?"
"..."
"Uffa, ti dico quello che so io. Forse è meglio.
Hanno appena fatto uscire un disco, sono di Vancouver e come tutti gruppi canadesi che fanno (indie?) rock, non badano molto alle questioni di look. Hanno barbe lunghe, capelli sempre fuori posto, vestiti passati di moda quindici anni fa. Però scrivono belle canzoni.
Per carità, niente di rivoluzionario, anzi, sono fin troppo passatisti. In alcuni momenti sembrano la reincarnazione dei Replacements. In altri giureresti di sentire Doug Martsch nascosto sotto fiumi di chitarre. E poi, come tutti del resto, anche loro sono ossessionati da Neil Young.
Sempre in cerca della ballata perfetta. Ma di quelle ballate che si cantano con voce cartavetrata.
Ma non sono musoni, o meglio, lo sono ma non solo.
Non rinunciano ai clapping come ai feedback. In qualche recensione hanno scritto che alcuni mostri sacri del rock pagherebbero per scrivere canzoni tipo le loro. Per esempio mi pare di aver letto che J Mas..."
"Umh..."
"Oddio, scusa. Non volevo offenderti."
"..."
"Dai, non fare così che mi sento in colpa. Pure tu però..."
"..."
"OK, OK. Scusa. Comunque tu hai scritto canzoni più belle delle loro. Giuro. Certo l'ultima risale a dodici anni fa, però..."
"..."
"Dici che non ho avuto molto tatto?"
"..."
"Non mi parli più?"
"...."
"Neanche se ti racconto una barzelletta su Lou Barlow?"
"..."
"Tipo quella che un giorno la mamma dice a Lou di andare a comprare la mortadella, solo che la mortadella è finita e allora Lou Barlow decide di affettarsi..."
"..."
"Niente? Neanche quella di un'inglese, un tedesco, un italiano e Lou Barlow che devono... Vabbè, ci rinuncio. Non so più cosa fare. Io Attacco. Ok?
"..."
"Sto attaccando, eh."
"..."
"Attacco e uno, attacco e due, attacco e... due e mezzo... "
"Hey!"
"Finalmente! Sì?"
"Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!"

Tutututututututututut...



Questa, comunque, è Dugout.

sabato, luglio 01, 2006

Umpf ( La novità, la verità, fa male).

Il giorno in cui mi ero ritrovato ad ascoltare un disco di Paul Simon, un disco di Paul Simon scritto dopo il 1970, era un giorno strano.
Uno di quelli in cui fa un caldo boia che non te lo spieghi, ma il cielo è grigio e pieno di nuvole.
Aveva iniziato a piovere di prima mattina, una pioggia che pareva fango.
O un fango che pareva pioggia, non l'ho ancora capito.
A pensarci bene anche la sera prima il giorno in cui mi ero ritrovato ad ascoltare un disco di Paul Simon era stata una serata strana.
L'Italia aveva vinto nettamente una partita di quelle che neanche ai giardinetti.
Senza gioco, ma segnando tanto e bene.
La festa era esplosa nelle piazze, la gente nelle automobili picchiava sul clacson e sventolava bandiere. Qualcuno ci guardava male a causa della nostra assenza di festoni e reganelle, alla fine l'unico rimasuglio di vita da stadio che c'era rimasto addosso era la passione per il Caffè Borghetti.
Il resto. Mah.
Qualcuno per strada inneggiava al Duce e lo mischiava con i White Stripes. Roba da far rotolare Jack White nella tomba. Da vivo.
Noi alzavamo il volume per non sentire, ci guardavamo le facce e decidevamo di desistere all'idea di gridare insulti ai fascistelli di paese.
Eravamo pur sempre bloccati nel traffico. Ed eravamo di meno.
E poi due dei nostri avevano gli occhiali, uno era una ragazza. L'altro: il padrone della macchina.

Così c'eravamo tolti dall'ingorgo ed eravamo finiti in un festival metal. Uno di quelli in cui puoi sentire il puzzo d'ascelle anche se si è all'aperto.
Il gruppo principale aspettava di salire sul palco, anche loro non ne potevano più.
Leggevano il Manifesto e chiacchieravano della partita dell'Italia.
Piuttosto che suonare avrebbero preferito partecipare ad una gang bang con Suor Paola.
Quella della Lazio.
C'erano delle bancarelle, una era piena di vinili.
Mi ricordo che avevo preso in mano un disco dei Lemonheads e per tutto il tempo ero stato in bilico tra deciderne l'acquisto e spendere gli stessi soldi per un paio di birre.
Alla fine non avevo preso nè l'uno e nè le altre.
Avevo visto il concerto.
Avevo chiacchierato ed ero tornato verso casa.

La sera prima del giorno in cui mi ero ritrovato ad ascoltare un disco di Paul Simon avevo deciso che da lì in poi avrei risposto "Sto" a tutti quelli interessati a sapere come me la passo.

Stai bene?
Sto.
Sicuro?
Sto.

Scusate il silenzio



E' che sto aspettando...


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