Primavera Sound 2005 Report (LT 07 Preview)
Stephen Malkmus - Home Alone (LT 06)
Adam Green - American Idol (LT 05)
Low... forever changes (LT 05)
Revisionismi: J Mascis - Martin And Me (LT 05)
Sono un ribelle, mamma (Write Up n.2)
Tra le pareti (www.julieshaircut.com)
Broken Social Scene: all in the family (LT04)
Revisionismi:Weezer-Pinkerton (LT04)
Le parole che non ti ho detto (MarieClaire feb 05)
Revisionismi: Scisma-Armstrong (LT03)
Meg: essenza multiforme (LT03)
Greg Dulli e Manuel Agnelli: Matrimonio all'italiana (LT03)
American Music Club e R.E.M.- Once were warriors (LT03)
La lunga estate dei folletti (LT02)
Not tomorrow!No manana!Today! (LT02)
Blonde Redhead sulle ali della farfalla (LT01)
Oltre la traversa (Il Mucchio Selvaggio 2002/2003)


Weeds



mercoledì, agosto 31, 2005

Yo Bum Rush The Show (un post che ho appena iniziato a scrivere e che immagino finirà per essere piuttosto lungo)

Di Hip Hop e di Video Music Awards

La risposta che uno si sente indirizzare quando cerca di tentare un primo approccio con il rap/hip hop è da sempre una e sola: "L'hip hop non è un genere musicale, è uno stile di vita, una cultura".

Vista l'enfasi con cui di solito queste parole vengono dette, è lecito sospettare che questa C di cultura sia davvero maiuscola.
Enorme. Una C grande come un grattacielo che King Kong, prima di scalare, ha bisogno di andare in un negozio di articoli sportivi e comprarsi tutte le imbracature di questo mondo. E anche quelle di quell'altro. Se esistono.

Poi succede che uno torna a casa, tutto carico di fremiti verso questa nuova "Cultura" da approfondire, accende la TV, mette un canale a caso - uno tipo MTV- e finisce per farsi l'idea che queste benedette radici culturali/socio-antropologiche su cui si basa l'hip hop/rap siano le stesse di Flavio Briatore e dei frequentatori del Billionaire.

Domenica a Miami c'erano gli MTV VIDEO AWARDS.
Presentava Puff Daddy... ehm- scusate- P Diddy... OK: presentava Diddy (per la serie cambiare dieci volte nome e rimanere sempre lo stesso-enorme- coglione).
Aveva un vestito elegantissimo (un po' da gelataio, ma da gelataio ricco) ed un orologio di diamanti che veniva inquadrato ogni due per tre.
E' questa la cultura hip hop?
No, la cultura hip hop è quella di Snoop, di 50 Cent, di Kanye West (santo subito!), di The Game e Jay-Z.
Che sono uguali a Diddy. Hanno gli stessi cappelli Panama, gli stessi brillocchi, gli stessi occhiali di Gucci, gli stessi vestiti gessati e le stesse donne sciccose, e chiappe al vento, vicino.
Qualcuno ha talento, qualcuno no.
E' che c'è poco da fare: P Diddy è Briatore.
Jay Z è Lele Mora, Alicia Keys... la Ventura.
Signorini? Signorini non c'è. I rapper sono tutti indiscutibilmente macho... anche se... quell'Usher lì...

Quando l'ho scoperto io, l'hip hop, andavano ancora di moda i "radioloni" (giamaicani, li chiamavano così a Roma, non ho mai capito il perchè).
Chuck D agitava spesso la mano facendo il simbolo della pistola e Flav andava in giro con la sveglia al collo.
Erano gli anni (tardi), dei Public Enemy number one, di Cop Killer, ma soprattutto erano gli anni dei De La Soul, Jungle Brothers, Arrested Development,KRS ONE, GangStarr e A Tribe Called Quest.
Erano anni in cui l'hip hop su MTV ci andava solo la domenica (a mezzanotte) e i palinsesti delle radio proponevano questo tipo di musica solo in piccoli, carbonari, spazi.
Erano anche gli anni in cui in Italia la parola rap che fino ad allora era stata sinonimo di... Jovanotti, diventava altro.
Diventava una pubblicità della Uno.
Ed ancora:
riviste, programmi radio e dischi.
Molti dei quali deprecabili, alcuni che hanno un senso ancora adesso.
E' diventato: "Bella lì", "Forse no?", "Non ve n'è" e "Nun ce sto".

I B Boy (si chiamano così) andavano vestiti alla bellemmeglio. Una certa attenzione per lo stile c'era, ma era uno stile diverso.
Pantaloni larghi, scarpe enormi e da basket, felpe e magliette sportive di una o due taglie superiori.
Se avevi le Reebok Pump piuttosto che le Gazzelle venivi già considerato un fighetto.
Figurarsi se vestivi Dolce & Gabbana.
La leggenda dice che tale, carneade, Dj Flash (Già un Lorenzo c'è già e allora?)
si prese bottigliate sulla faccia, ad un concerto, perchè aveva la camicia bianca a maniche lunghe e, come scarpe, un paio di Hogan.
Ora è la norma. Ora il figo sarebbe lui.

Quando l'ho scoperto io, l'hip hop, non giravano poi così tanti videoclip (l'ho già detto) e quelli che giravano non erano così pieni di tette e culi.
Ce n’erano sempre. Ma erano diversi. Erano "veri".
Quasi normali. Ma, soprattutto, non erano la norma.
All'epoca, se eri un pessimo rapper la gente ti schifava e ti additava. Ora vendi milioni di copie. Il livello si è abbassato c'è poco da fare.
Dove c'era Q Tip ora c'è Nelly.
E lo stesso Q Tip con gli anni è diventato scarsino.
Una volta il simbolo dell' hip hop era una frase che diceva "Keep it real", ora è un calice d'argento pieno di simboli e ghirigori e che viene per comodità chiamato "Pimp Cup". La tazza del pappone.
Il punto di non ritorno del rap è stata la morte di 2Pac e quella subito seguente di Notorius B.I.G.
Già con loro si stava prendendo una brutta piega, ma dopo di loro si è andato solo peggiorando.
Il rap si è convertito gangsta, ha fatto dalla strada ai salotti ed è diventato una macchietta.
E' diventato il Wrestling.
E la Death Row... la WWE

E allora incominci a dare ragione a quelli che ti guardano con sospetto quando dici che ti piace un certo tipo di musica. O comunque ti piacciono alcune cose.
Cose che non passano su MTV e che spesso sono fatti da bianchi che indossano magliette che un vero rapper non metterebbe mai.
Perché ti vergogni quasi a dire che Edan, Nobody, Quasimoto, Blackalicious, Mos Def, Madlib, HandsomeBoyModellingSchool, Alias, Subbtle e pure Common e Outkast valgono davvero la pena di essere ascoltati.
Nonostante tutto.


lunedì, agosto 29, 2005

Teoria bizzarra (o poderosa cazzata)

I Coldplay stanno agli U2,
come i Death Cab For Cutie stanno agli R.E.M.,
i Modest Mouse ai Pixies ed i Broken Social Scene ai Radiohead.

E i Nirvana?
A chi stanno i Nirvana?

domenica, agosto 28, 2005

Le certezze che non si smentiscono mai



Ad un primo ascolto, veloce veloce, il nuovo disco dei Silver Jews ("Tanglewood Numbers"), sembra seriamente in grado di prendersi questo duemilacinque e portarselo via.
Sembra.

Ascolta: Sleeping Is The Only Love

sabato, agosto 27, 2005

Il ritorno. Un campionato di calcio che inizia pericolosamente.




Oggi inizia il campionato di calcio. Inizia nonostante le fideiussioni false, Preziosi, Giovannone, la serie b che fa le bizze, i sindaci che ne fanno anche di più ed un disamore strisciante che incomincia (finalmente) a farsi largo anche tra gli innamorati più ciechi.
Rinizia il campionato di calcio. E non me ne frega niente.
Me ne frega di "me ne frego". Invece.

Mi spiego meglio: capita che in uno dei miei periodici raid in libreria, sia finito per imbattermi in quella cosa lì sopra. Che sarebbe meglio identificare come la nuova semi-auto biografia di Paolo Di Canio, ma che anche definirla "quella cosa lì sopra" non è poi così sbagliato.

Di Canio, dice il luogo comune, è uno dei pochi calciatori che sa mettere in fila pensieri di senso compiuto.
E mi dispiace, ma il signor luogo comune questa volta ha azzeccato in pieno.

Non solo Di Canio ha dei pensieri e sa esprimerli, Di Canio è ironico, fa battute divertenti, è "sportivo" e si veste anche bene (ma quante diavolo Fred Perry ha?).
Sa anche giocare a calcio divinamente. E' il paradigma vivente del "fantasismo inutile".
E per questo merita rispetto.


Sfogliando il libro rimango attratto da un capitolo dedicato alla musica e, più nettamente, agli Smiths.
Proprio quegli Smiths lì. Mica pizza e fichi.
Di Canio racconta di come è impazzito per i loro album negli anni ottanta, quando ha "incominciato a scoprire che esisteva un tipo di musica poco commerciale, ma molto più interessante". Di come venera (letterlmente) Morrissey ed ami certi dischi della band che, da vent'anni, sono in airplay fisso nella sua macchina.
Il suo primo concerto "vero" è stato degli Oasis negli anni d'oro.
L'altro suo amore: gli U2.

Mica male, soprattutto se rapportato a molti dei suoi colleghi che non vanno oltre Gigi D'Alessio ed Eros Ramazzotti (mai, però, come Zotti ex-?- portierino della Roma e fan dichiarato dei Pixies. Uno che a sedicianni aveva smesso di giocare a pallone perché voleva suonare indie rock).

Anche in questo libro, Paolo Di Canio non rinuncia ad abbandonarsi ai temi scottanti della politica. Anche in questo dimostra coraggio. Coraggio nell'affermare il suo pensiero. Un pensiero sicuramente molto poco condivisibile, ma che non viene nascosto dalle solite frasi di circostanza che i calciatori sparano regolarmente, con il tentativo di non fare torto a nessuno.

Anche se:

  • "Io non sono contro gli stranieri che vengono qui per lavorare. Io sono contro quelli che vengono qui per fare i delinquenti" (come se si potesse chiedere il tesserino all'ingresso: "Spacci o lavori? Metti la X dove ritieni sia più consono.”)
  • "Purtroppo in questo paese le persone di destra vengono discriminate";
  • "I miei ideali sono quelli del fascismo del ventennio. Anche se un ritorno alla dittatura rimane un'utopia";
  • "I tifosi della Lazio vengono sempre strumentalizzati dai giornali. Tutto quel casino sulle svastiche portate allo stadio, quando erano solo un modo per rispondere agli striscioni altrettanto offensivi che la curva del Livorno mette ogni domenica";
  • "Non capisco: io sono un pessimo esempio perché dal mio braccio si intravede la scritta DUX, mentre quelli che hanno Che Guevara ed agitano i pugni chiusi sono degli eroi".

Certe frasi meriterebbero una dose costante di calci nel culo. Magari con in sottofondo Bigmouth Strikes Again.A tutto volume.
Magari.

giovedì, agosto 25, 2005

Per te che non ci sei più



E' passato del tempo. Quasi una settimana ormai.
Una settimana che la testa ciondola senza tregua e che la barba non viene tagliata.
Una settimana che la tristezza regna sul mio volto.
Ché le espressioni sono importanti tutte, ma quelle tristi di più.
Che poi lo so che non ha senso stare così, che la vita riserva sempre delle sorprese, che certe volte basta aprire la porta di casa ed uscire fuori per sentirsi il mondo ai propri piedi.
Lo so. Ma sono passati pochi giorni. E pochi giorni sono pochi giorni. E basta.
Sicuramente non il tempo necessario per smaltire una delusione del genere.

Il problema, vedi, è che mi ero abituato a te come non mi era mai successo con nessuno prima.
Mi ero abituato a vederti girare intorno, a stare in mezzo alle mie cose, a condividerle.
Farne parte.
Mi ero abituato a dividere tutto con te: sogni, speranze, viaggi, lavoro, nottate in piedi, serate nate per essere solitarie e poi trasformatesi in un "gioco a due".
Tutto. Insomma.
Ed è per questo che adesso fa così paura.
La paura di rincominciare. Da solo.

Anche uscire di casa per andare a fare la spesa è diventato diverso da prima.
Un "prima" che è talmente vicino all'oggi che finisce quasi per farmi orrore.
Mi manca il tuo sempre costante sottofondo, il tuo essere capace di distrarmi ed attirare la mia attenzione in qualunque momento.
Mi manca quel dono, unico ed incredibile, che hai di catturare sempre il centro della scena e diventarne il protagonista.
Tutti i momenti, quelli belli, quelli brutti e quelli "medi", di quest'ultimo anno sono stati segnati dalla tua presenza.
Presenza che faccio fatica a considera assenza. Ma ormai è così, e me ne devo fare una ragione.

"Buttati sul lavoro, circondati degli amici" mi dirai tu.
Già, come se fosse facile.
Gli amici ci provano, mi sono intorno, mi consigliano come reagire, cercano di darmi la soluzione e di procurarmi l'aiuto di cui ho un serio bisogno.
Ma niente. Il loro aiuto non serve a niente.
Il problema è che il "loro aiuto", non è "il tuo aiuto".
Ed è di quello che ho bisogno io, adesso.
Ho bisogno di te. E basta.

Questa mattina leggevo sul giornale che esiste in Olanda una clinica che fa miracoli.
Un posto dove una persona entra con tutti i suoi ricordi ed i segni lasciati dalla vita.
Un posto da dove una persona entra vecchia ed esce nuova.
Un posto dove quei ricordi e quei segni lasciati dalla vita, di cui parlavo prima, vengono azzerati.
Un posto dove poter ripartire da zero.

Penso che dovremmo andarci, io e te.
Più tu che io. In realtà.
Gli amici pensano che ti farebbe bene e che dopo una cura del genere potremmo tornare a stare insieme come se niente di quello che ci è accaduto sia in realtà successo.

Io non lo so. Ho paura.
Da un lato la possibilità di riaverti qui con me mi fa volare alto mille metri, dall'altro ho il terrore che un trattamento del genere possa cancellare anche tutto quello che di bello c'è stato tra noi.
Ed è un bello veramente grande che solo l'idea di toccarlo mi fa tremare le ginocchia.
Ho il terrore che dopo un trattamento del genere io debba trovarmi ad avere a che fare con una persona diversa.
Una persona diversa con cui mettere in piedi un rapporto, mentre quello che voglio davvero sei ancora tu...
Il mio iPod.

martedì, agosto 23, 2005

Chaos and creation in the (major) back yard



Gli uffici delle major discografiche rappresentano il segnale evidente e tangibile della crisi che attanaglia il mercato.
Basta andare a toccare con mano per accorgersene.

I palazzoni signorili rimangono sempre gli stessi palazzoni signorili, gli appartamenti adibiti ad uffici risplendono ancora per la loro tecnologia (tipo la macchina del caffè, scherzo), i loro muri colorati di dischi d'oro (tutti appartenenti al decennio scorso, con l'eccezione di quelli di Vasco), i cartonati che intralciano la quasi intera superficie camminabile e avveniristici impianti per ascoltare la musica che, spesso e volentieri, danno l'idea di essere lì solo per rappresentanza.
Il segnale della crisi, però, è un altro.
E' che sono vuoti. Questi enormi appartamenti/uffici avveniristici e tutto quello che volete voi, da un po' di tempo a questa parte danno lavoro solo ad un paio di persone (parlo delle sedi romane) e si fanno notare più per la tristezza emanata da alcune stanze in cui, fino a pochissimo tempo prima, la vita scorreva, le chiacchiere viaggiavano, la musica si ascoltava ed ora vengono depositati i pacchi in giacenza.

E vi giuro che l'estate non c'entra.
O c'entra in parte.

Il nuovo disco di Paul McCartney si chiama "Chaos and Creation In the Back Yard".
E' scritto più o meno in tutti giornali, ma alla EMI non lo sanno ancora.
Per loro il disco si chiama "MLP" e le poche informazioni che hanno le devono ad una mail mandata dalla casa discografica americana, che viene stampata ed adibita a cartella stampa per i poveri malcapitati che, come me, devono fare "l'ascolto" dell' album in sede.
Peccato che la mail in questione sia foriera di alcune perle che con magno gaudio vado qui ad elencare (le perle che con magno gaudio vado qui ad elencare sono offerte da Chiappolin. "Chiappolin ed il tuo stomaco fa din-din". Altro che Google Ads).

Allora, oltre alla tracklist dell'album e alle note sulla produzione (Mr. Nigel Godrich, non se si mi spiego), i simpatici lavoranti della major in questione si sono dimenticati di levare il testo della mail.
Testo in codice, in cui l'artista Paul McCartney viene identificato come Pete Mitchell:
"Hi ------ this is the new Pete Mitchell album.", e cose del genere.

Ecco, l'ipotesi sono due (le ipotesi che sono due vengono gentilmente offerte da Autospurgo Gianni Malandrucco e figli. Ripeto: altro che Google Ads).

O alla EMI pensano che storpiare il nome dell'artista (nelle mail private) sia un modo per fottere la pirateria discografica (e qui m'immagino una pletora di mail riguardanti Vito Rozzi, Cesiro Creminini, gli Ultramagr, i Suono Bulletti e gli immancabili Sigur Rose - no, così li chiamano solo sulla Repubblica), oppure Paul McCartney è veramente morto nel 1966 (cosa, per altro, ribadita in questa intervista) e la famosa leggenda metropolitana era sbagliata solo in parte:
Pete Mitchell e non William Campbell. Come si era sempre creduto.

(Le leggende metropolitane sbagliate in parte sono offerte dalla Pasticceria Germano, che mi paga gli ads in strudel alle noci).

Ma, questo benedetto album come diavolo è?

Non lo so. Non lo so ancora.
Qua bisognerebbe aprire mille parentesi (le mille parentesi che si aprono sono offerte da... OK, la smetto) su quanto sia produttivo chiedere un giudizio su un disco dopo un solo ascolto (un ascolto e mezzo quando va bene), effettuato anche in condizioni non proprio agevoli (tipo in una stanza che sembra quella del Pentagono in cui decidono chi si deve bombardare oggi, con l'unica variante che si viene lasciati soli in balia di un discografico fin troppo solerte che, ogni tre minuti ti apostrofa così: "Bello eh? Ti piace? Secondo me è bello. Che dici?").

Bisognerebbe aprirle, ma non le apro. Che ne ho aperte già troppe.
Dico solo che "Chaos and Creation In the Back Yard" è un disco di McCartney.
Nel bene e nel male.
La produzione di Nigel Godrich si sente in maniera pesante solo in un caso (il singolo Fine Line, ascoltabile in streaming qui) e per il resto si limita a svolgere il compitino.
I suoni sono molto 60's e rimandano alle ballate bucoliche come Mother Nature's Son e The Fool On The Hill, i testi invece proseguono la linea tracciata negli ultimi lavori del "Macca" e parlano delle solite cose (Linda, il figlioletto nato da poco, la pace nel mondo e compagnia cantando).
Eccezion fatta per Vanity Fair, canzone - per altro piuttosto bruttina - in cui il nostro si lamenta della sua vita da star stressata dal gossip e dai paparazzi.

Insomma, secondo il discografico solerte si tratta del miglior lavoro di Paul McCartney degli ultimi quindici anni.

E guardando indietro al McCartney di quindici anni fa non si riesce a non dargli ragione.

domenica, agosto 21, 2005

Bagnino, mi aiuti, il mio bambino si sta sentendo male (storia di un uomo e del suo iPod)

Ok, sto per urlare (in realtà già l'ho fatto).
Ok, sto per bestemmiare (in realtà ho fatto anche quello).
Ok, sto per mettermi a piangere (quello ancora non l'ho fatto, ma credo che ormai sia l'unica soluzione).

Spiego meglio: qualche giorno fa, in vacanza, mi metto le cuffiettine (cosa che, per inciso, avevo fatto fino a qualche ora prima), accendo l'iPod e mi accorgo che improvvisamente non vede più le canzoni.
Ri-spiego meglio: le vede, ma le skippa. Le passa in rassegna tutte velocissimamente e non ne fa ascoltare neanche una. Come se i brani, gli album, le discografie durassero solo un millesimo di secondo.
Preso dal panico vado in un Internet Caffè (uno di quelli economici: quattro euro=un quarto d'ora di Internet) e seguo le istruzioni del sito Apple.
"Non c'è nessun problema. Basta resettare".
Ed io resetto.
Ora, sono tre giorni che, accendendo l'oggettino bianco, mi appare questa simpatica iconcina:




Provo ad attaccare l'iPod al computer, ad aggiornarlo, ad aprirlo. Ma niente. Non riesco a fare niente.

Il PC ha preso a guardarlo come un normale hard disk esterno che non si lascia aprire. Se non previa formattazione.

Insomma, la domanda è: cosa cazzo faccio???

Urlo?
Bestemmio?
Piango?

Apro la tazza del cesso e ce lo butto dentro (come si faceva da bambini con i pesciolini rossi - lo so, è tutta colpa di Arnold - passati a miglior vita)?

Aiutatemi, sono un uomo distrutto.


(ps: disclaimer per i simpaticoni: "Te lo meriti- ben ti sta- questa è la fine che farete voi tutti, fighetti di merda" e cose del genere, non saranno accettate. So benissimo che me lo merito, che ben mi sta e che questa è la fine che farò io tutto, fighetto di merda. Ma in questo momento sono talmente accecato dalla rabbia che potrei prendere a cazzotti Mike Tyson e costringerlo a pronunciare il mio nome con i rutti. Non so se mi sono spiegato. Ma non volevo spiegarmi. Ecco.)

Aggiudicato!

Leggo (o meglio: ho letto) sulla Repubblica di un'asta in programma su eBay, in cui diversi autori (tra cui alcuni di quelli molto amati da queste parti: Lethem, Eggers e Gaiman) metterebbero in palio, al miglior offerente, la possibilità di diventare un personaggio della loro prossima opera (romanzo, racconto, fumetto... quello che volete voi).
Tralasciando il fatto che l'articolo di Vittorio Zucconi è stato scritto con una delle poche parti che rimangono immuni al battito del sole anche quando ce ne stiamo spaparanzati per ore su uno scoglio: va bene sbagliare la grafia di Turow, ma chiamare il primo romanzo di Dave Eggers: "Il lavoro straziante di un genio fantastico" rasenta, questo sì, la fantascienza.
Prendo atto della buona idea e rilancio.

Da oggi si apre la prima asta di [indiessolvenza]:
diventa il protagonista della prossima lettera di Giovannni Lindo Ferretti.

Accorrete numerosi.

mercoledì, agosto 10, 2005

Cosa fare d'estate quando il blog è morto

Aspettare il nuovo album dei Big Star e nel frattempo scaricare il primo singolo (Dony, grazie Stereogum).

Fare lo stesso con Shorelines, primo brano estratto dal prossimo Broken Social Scene, che forse si chiamerà "Windsurfing Nation" e forse no. (Grazie Lonoise. Un blog che spacca. L'ho detto.)

Sempre grazie a Lonoise (o Low-Noise), un blog italiano che, lo ridico, spacca, intervallare i continui ascolti dell'album di Sufjan Stevens con questo remix, mooolto Servizio Postale, di Chicago. Sempre di Sufjan. Ovvio.

Guardare il nuovo video dei Flaming Lips ed incrociare le dita per il nuovo album. (Magari, anche aspettare che il negozio di dischi del tuo amico apra e comprare The Fearless Freak per un prezzo umano).

Ascoltare un demo che ti è piovuto per caso nella borsa e rimanere stupito di fronte alla bellezza di queste canzoncine dream pop degli Evanicetrip, di Firenze.
Una volta fatto, auto-insultati per aver ironizzato sul nome. (scarica Fishly).

Alzare il volume al massimo e dondolare la testa con i Winter Beach Disco e la loro Communardo Braccialarghe.

Per restare in Italia, fare la stessa cosa di poco sopra con i Blown Paper Bags e la loro Panda Gang.

Ricordarsi che, alla fine dell'estate, arriva in nuovo disco degli Amari, e nel farlo lasciate andare il ditino destro sul mouse e salvate con nome questa cosa qui (che non è nel disco, ma va bene lo stesso).

Fare una pausa da tutta questa musica e buttare l'occhio a A Dirty Shame, il nuovo malatissimo film di John Waters e poi tornare alla musica guardando (via Kataweb) i live di Paolo Benvegnù e Malkmus (via KCRW).

Vagare su Soulseek alla ricerca di side project dei Grandaddy ed imbattersi per caso nell'opera folle di un formidabile genio.
Anton Maiden, viene dalla Svezia e ricanta (stonando) le canzoni dei più famosi Iron utilizzando come base degli scrausissimi midi file.
Andare su Google alla ricerca di info più precise e scoprire che il povero Anton si è ucciso nel 2003.
Celebrarlo con un mp3 da scaricare (Two Minutes To Midnight). R.I.P.

Chiudere le finestre di casa, fare lo stesso con il gas e la corrente. Chiudere il blog e partire per le vacanze.
Ma prima, far notare con piacere che... vi è caduta la saponetta.
Buone vacanze.

martedì, agosto 09, 2005

Se scrivi un post a punti è perché sei stato a Urbino e avevi deciso di non scrivere niente ma poi hai cambiato idea ed hai scritto un post a punti

_Atmosfera: Unica ed inconfondibile. Nonostante la pioggia, i problemi tecnici, concerti non proprio esaltanti e disservizi organizzativi di varia natura, Frequenze Disturbate si conferma il miglior festival d’Italia.
Non so ancora se considerare questa edizione come l’inizio di un qualcosa, o la fine di un altro qualcosa che due anni fa era andato via di corsa. Senza salutare.
So solo che Frequenze Disturbate merita di essere tutelato. E molto.

_ Borghetti: L’amaro degli Amari. Il primo giorno, tra un Raveonettes e un Julian Cope, il Caffè Borghetti l’ha fatta da padrone, salvando i poveri standisti dal loro destino di apatia e congelamento.

_ Concerti: Se ne sono lette e scritte di tutti i colori. Line up all’altezza di un festival “europeo”, oppure misera raccolta di nomi triti e bolliti?
La verità sta nel mezzo. Come per tutte le cose.
Tra “le nuove leve”, si sono fatti ben volere i Sons and Daughters e pochi altri (forse perché oltre loro non ce ne erano, di nuove leve). I Raveonettes hanno cambiato formazione (ora sono in cinque, la bassista non è più bassista… forse perché hanno preso un bassista) ed il suono si è fatto meno ruvido e più confusionario. Bene i pezzi nuovi, anche se vengono inesorabilmente schiacciati dalle hit di “Songs in b minor”. Ottima la cover delle Supremes e il finalone noise-psichedelico.
I Sophia hanno fatto il solito concerto dei Sophia, resistendo anche al boicottaggio della corrente elettrica e intonando una canzone (non amplificata) solo per le prime tre file.
Four Tet, lo ammetto, ero prevenuto. Dopo il tremendo set visto a Milano qualche mese fa, temevo il peggio. Fortunatamente non è stato così. Certo, il disco continua a non piacermi e trovo veramente irritanti i laptop set, ma nonostante tutto si lasciava ascoltare.
Lippock- Morgenstern: Non pervenuti. Il diluvio impazzava, i cancelli erano chiusi ed io stavo litigando per piazzare il tavolo dello stand di LOSINGTODAY.
Però come sottofondo non erano male.
Come non erano male i Blonde Redhead. Anche se questo lo si dava un po’ per scontato.
Finita l’era dei live memorabili (me ne ricordo uno proprio ad Urbino nel 2001) continuano a vivacchiare di alti e bassi. Colpa del cagnolino da passeggio di Kazu?

_Delusione: quella per Julian Cope e per la sua band che “sembrano gli Scorpions senza neanche la caduta di un muro da festeggiare” (cheers to Musica per drogarsi). Alla fine le canzoni storiche arrivano (World Shut Your Mouth su tutte), il problema è che prima abbiamo dovuto sopportare un intero concerto hard rock/metal veramente di terz’ordine. Con tanto di tagli sul petto ed invasioni del pubblico sul palco.

_Echo and The Bunnyman: non avevo nessuna aspettativa nei loro confronti. Mi limitavo ad ignorarli. Dal vivo, invece, si sono fatti apprezzare. Bei suoni, bella scaletta e ottima (e per nulla patetica) presenza sul palco. Certo, l’inizio con i canti gregoriani e il momento cover (Doors, Lou Reed e forse anche qualcun altro) lasciavano un po’ a desiderare.

_ Forfait: quello di Daniel Johnston, che pare sia molto malato – molto più del solito - e quello dei concerti a sorpresa. Per colpa di alcuni passaggi burocratici, non si sono potuti vedere i Devics (in acustico), gli Ardecore e Manuel Agnelli in versione passero solitario. Peccato.

_ Gelato: quello che si mangia in piazza ad Urbino (alla gelateria Romana) è il più buono del mondo. Ebbasta.

_Hotel: ovvero, quelli che vanno fortemente evitati. Ad Urbino si va in appartamento. E’ la regola.

_ Incroci: sabato pomeriggio, in piazza, sul palco Mimì Clementi leggeva L’Ultimo Dio, in un angolo Melissa P (Melissa P!) vendeva i libri di Julian Cope e Cofferati passeggiava con la sua nuova fidanzata. Noi eravamo sui gradini del Duomo ad assistere alla consegna del premio Uomo dell’Anno.

_Libri: ad Urbino i libri si vendono più del pane. Basta fare un giro per le strade della città e contare il numero di librerie presenti, per accorgersene.
Per questo motivo Effedi è senz'altro il festival più "letterato" dell'Italia rock and roll: ho visto accrocchi di pagine e parole spuntare ovunque, tra le mani delle persone sedute ad aspettare i concerti (con forte prevalenza del nuovo Harry Potter) e tra quelle dei passanti che guardavano quelli che guardavano.Ho visto libri anche tra le mie, di mani.
L'ultimo di Nick Hornby (deludente) e il primo di Mancassola (che ancora devo capire se mi piace o meno).

_Mit-t-ici!: Gli Yo la Tengo. I più attesi, almeno da me (in questo senso i Dino Jr. erano come le diecimila lire che la nonna ti sganciava in un giorno che non era niente di speciale). Non hanno deluso affatto le aspettative: delicati, tenui, rumorosi, cazzoni, rigorosi. Hanno fatto la storia dell’indie rock e domenica sera l’anno riprodotta per noi. In una parola sola: impeccabili. In un po' di più: hanno preso il festival e se lo sono portato via.

_Nostrani: Come i prosciutti. La pattuglia italica si è fatta largo tra le forze straniere presenti in massa, ed alla fine è riuscita a lasciare un segno. Ottimi gli Sprinzi e Bob Corn. Sottotono gli One Dimensional Man e i Kech. Sfortunati i Midwest (all'ultimo minuto hanno dovuto sostituire Daniel Johnston sul palco grande finendo per suonare di fronte solo trenta persone, mentre il resto del pubblico li aspettava sul palco davanti Palazzo Ducale), psichedelici (ma questa non è una novità) i Jennifer Gentle. Gli Artemoltobuffa, dal vivo, restano sghembi e perfezionabili, ma hanno dalla loro due/tre canzoni talmente belle che fanno tremare le ginocchia.

_Orgoglio: blogspottaro. Parlo della partita, ovvio . E parlo di quanto sia stato bello giocare in una squadra senza maglie e pantaloncini da calcio. Una squadra di Jon Spencer, Magnet Magazine, Polo Lacoste, Sprinzi e Rocky Balboa. Una squadra di pance da birra e tagliatelle ma con un sorriso sulla faccia ed un cuore che il Torino degli anni d'oro ci fa un
baffo. L'ho detto. Che poi volendo potevo fare un tempo e un tempo, ma ho preso a cuore la causa...

_Partita: dicevo quella tra Splinder e Resto Delle Piattaforme. Si è giocata di domenica, davanti ad un cimitero. Hanno vinto i primi per dieci a sei. Sono sceso in campo vestito come gli altri prima che si cambiassero. Mi sono sentito un po' inadeguato, ma ho fatto il mio: un goal, un palo e un quasi goal bellissimo. Poi ho anche sparato in alto due palloni (a tre metri dalla porta) e fallito un rigore in un momento (quasi) decisivo. Sono tornato a casa comunque contento: il dolore post partita mi ha ricordato di essere anche io un possessore di addominali. Yuppie!!!
(Ps: ma come fanno i calciatori a trombare dopo una partita, io riuscivo a malapena ad alzare il dito e pronunciare la parola "Cincischiante", figuriamoci a fare il resto).

_Quando... ero sull'altalena. Alle quattro del mattino di una domenica che era già diventata lunedì. Ridevo, sparavo cazzate, ridevo di nuovo e poi mi sono lasciato cullare da una metafora triste. Ma bella. Che ci voleva un'abbraccio. Ecco, quello è stato un bel momento.

_Ritorno: Quello dei Dinosaur Jr. e dell'adolescenza che si sveglia dal torpore, apre il cassetto e ti si para davanti in tutto il suo splendore. Il ritorno delle orecchie che fanno stack quando parte il riff di Little Fury Things e del cuore che fa thum (come quello di Carboni faceva chock e batteva rock, negli anni novanta) quando arriva quel verso di Freak Scene. Potenti, abrasivi e con dei volumi da scellarati, hanno fatto tutto quello che dovevano fare. L'auto cover band di eccelso livello. Alla fine, nonostante tutto, una sorpresa piacevole. Proprio come quelle diecimila lire della nonna.

_ Stand: Non la canzone degli R.E.M, ma quello di LOSINGTODAY che ha visto un numero nuovo andato “sold out” in un giorno e mezzo, un pellegrinaggio continuo di gente (e amici), degli arretrati smerciati come eroina per i tossici e abbonamenti a pioggia, per non dire “a tsunami”. Per una volta lo posso gridare anche io: campioni del mondo! Grazie a tutti.

_Tendini: Sì, quelli delle gambe, proprio loro. I tendini che al quarto giorno di salite si abituano al movimento e rispondono scattosi come quelli di un ciclista francese, perciò fighetta, che vinceva sempre. Quando eravamo piccoli.

_Urbino: Bella e stronza. Come una bionda. Come sempre.

_Volantino: ne veniva distribuito uno all'ingresso, che in realtà era più una vera e propria lettera aperta. L'ha scritta Pietro Fuccio (D.N.A. Concerti, l'organizzatore) riguardo un contezioso tra la sua agenzia e il Mucchio Selvaggio. Oggetto del contendere: la passata "vita" del festival in questione. Tralasciando il contenuto della lettera, i toni che venivano usati e le problematiche sulle quali verteva, è curioso notare come, per la prima volta, il concetto di "panni sporchi lavati in famiglia" sia stato violato anche all'interno di un mondo chiuso come quello di chi lavora con la musica in Italia. Per la prima volta si è reso il pubblico partecipe di un fattaccio burocratico e prettamente tecnico. Ma non privato, e questo è (dal punto di vista della comunicazione) un fatto interessante. Poi, sull'opprtunità o meno di arrivare a compiere un gesto del genere ci sarebbe da discutere, ma non mi sembra questa la sede giusta.

_Zaino: Lo porto sulle spalle. Dentro ci sono tutti i ricordi e le sensazioni di tre giorni vissuti, finalmente, in santa pace. E' pesante, ma di una pesantezza che fa piacere. Quella del viaggio che non finisce.
Mai.

martedì, agosto 02, 2005

Twentysick something


(something un cazzo. 2Sick e basta)

Dice che a ventisei anni per lo Stato italiano si diventa adulti.
Dice che sei diventato vintage e fra un po' passi all'antiquariato.
Dice che ora si fa sul serio e non ci sono cazzi.
Soprattutto se non sei donna o gay.
Dice che farsi gli auguri da solo è molto triste.
Dice che farseli sul blog è pure peggio.

Dice che volevi postare una compilation.
Dice che non ci riesci.
Dice che magari lo fai più tardi.
O un'altra volta.
Fa lo stesso.


Lo fai:

  1. Stars- Your Ex-lover Is Dead
  2. Wilco - Camera (EP Version)
  3. Modest Mouse - Breaktrough
  4. Wolf Parade - Same Ghost Every Night
  5. Count Five - Psychotic Reaction
  6. Julian Cope - I'm Living in the room they found Saddam
  7. Help She Can't Swim - Are You Feeling Fashionable
  8. Pinback - Microtonic Wave
  9. Sufjan Stevens - Jacksonville
  10. Snow Patrol - Teenage Kicks (The Undertones)
  11. Beck - Do you realize? (The Flaming Lips)
  12. Devendra Banhart - Fistful of Love (Antony and The Johnsons)
  13. Senor Coconut - Rock El Casbah
  14. The Magic Numbers - I See You, You See Me
  15. Pearl Jam - Last Kiss
  16. The Pernice Brothers - Red Desert
  17. Sigur Ròs - Hoppipolla
  18. Per scaramanzia. La posto anche qui.


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