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Weeds



domenica, maggio 01, 2005

Le ultime parole di Brandimante, dall’Orlando furioso, ospite Peter Hook e fine (da ascoltarsi con tv accesa e senza volume)

Io i New Order non li ho mai capiti.
O meglio: capisco “il culto”, Blue Monday, la dance, i Joy Division, la Factory, gli Electronic e tutte quelle robe lì.
Le capisco e le rispetto. Giuro. Ma non riesco a viverle, non riesco a non guardare Bernard Sumner e compagni nello stesso modo in cui si guarda un libro che hai preso in mano e tentato di leggere una mezza migliaia di volte, senza mai riuscire ad arrivare alla fine.

E’ colpa della prima volta.
La prima volta è importante, c’è poco da fare i fighi e sostenere che non è importante, ché tanto la seconda va sempre meglio e che quando di volte ce ne sono tre,cinque, cento, mille, della prima puoi anche sbattertene allegramente.
Ma il fatto è che non lo sai. Non lo sai se avrai oltre occasioni, se la vita ti riporterà un attimo ancora (o solo un minuto e un soffio di fiato) davanti a quello che credevi un treno perso ed invece era tutt’altro.

La mia prima volta con i New Order è stata in macchina con mio padre.
Lo so, una frase del genere nasconde in realtà una perversione. Ne prendo atto.
Ero in macchina con mio padre ed alla radio (quella nazionale, ma numero due) passavano Round and Round.
Ecco, io non avevo mai sentito niente di simile. E volevo sentirlo.
Passano pochi giorni e mio padre (sempre lui) mi regala “Technique” e “Pirata”. Il live dei Litfiba.
OK, qua devo aprire l’armadio e incominciare a tirare fuori scheletri:
il me del 1989 prende la cassetta di “Technique”, ascolta Round and Round, manda indietro, l’ascolta un’altra volta, rimanda indietro e poi la riascolta ancora.
Il me del 1989 ci prova a farselo piacere, ma non ci riesce.

Dopo quella volta finisce per prendere in mano la cassetta solo per riascoltare la solita canzone, il resto lo prende e l’archivia in un file vecchio come il cucco.
Il file “Musica che non mi piace”.
E qui, il me del 1989 chiede scusa a tutti, fa una riverenza e va via con la coda tra le gambe.
E il poster di Pelù appeso alle pareti.

Qui bisognerebbe aprire una parentesi, una parentesi grossa come il culo di Platinette o la torta nunziale di Carlo e Camilla.
Una parentesi grossa come l’adolescenza e che nasconde un forte senso di disagio.
Il disagio che a dodici, tredici, quattordici anni ti porta a nutrire sincera ammirazione per un tamarro fiorentino, peloso e vestito come un pirla. Tra l’altro.

Dopo “Technique” (e dopo aver scoperto Blue Monday, gli Electronic, la dance e tutte quelle robe lì), i nuovi album dei New Order sono sempre stati accolti da sottoscritto con una sorta di simpatico scetticismo. Tacendo volutamente su "Republic"(inascoltabile, diciamolo una buona volta), ammetto di aver apprezzato in "Get Ready" solo i momenti più smaccatamente pop rock. Deve essere stato così anche per loro. Per i New Order, intendo.
Altrimenti non ci sarebbe stato un album come "Waiting For The Sirens’Call", non ci sarebbe stato un singolo come Krafty (signori e signori: il romanticismo. E gli Smashing Pumpkins più pop, ma questo non c’interessa) ed una canzone come Turn.
Una canzone che mi fa alzare al massimo il volume e ballare come un deficiente.
Una canzone pop. Pop e basta.
Come la primavera.

E forse qualcosa adesso la capisco anche io.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

il poster di Pelù, tour spirito 95, ce l'avevo anch'io. non dirlo a nessuno
Benty

2:48 AM  

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