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Weeds



lunedì, aprile 24, 2006

No big hair!

Il mercato discografico è una bestia strana.
Un toro con le corna dalla parte sbagliata.
Un orso polare sull'isola di Lost.
Una cosa che c'è, ed è innegabile che c'è.
Ma non si spiega.

Per dire: sono anni ormai che non si vendono dischi o se ne vendono molto pochi.
Ed è così in qualsiasi parte del mondo.
Anche in quei posti il cui mercato appare florido e intoccabile, è evidente lo stato di crisi.
Eppure continuano ad esistere fenomeni incredibili.
Per dire, in America, è da più di un decennio che Todd Mark Rubenstein pubblica una collana di improbabili tributi ad artisti di estrazione pop e rock registrati di volta in volta da diversi quartetti d'archi.
Un po' di nomi: Pixies, REM, gli ovvi Beatles, gli U2, i Coldplay, ma anche Mars Volta e Flaming Lips. Tutti, in pratica.
Ed il bello è che la gente li compra.
Puro materiale per collezionisti ed amanti del bizzarro, o colonna sonora per matrimoni kitsch tra giovani coppie appassionate di musica pop e non solo.
Niente che lasci il segno per davvero.
Ma hanno successo. E vendono.
A volte molto di più dei dischi veri e propri degli artisti da cui prendono le canzoni.

Ancora più folle è l'operazione analoga che vede come protagonisti artisti e album di diversa estrazione (anche lì si va dall'indie al metal passando per tutto il resto), reinterpretati in chiave bluegrass/country (imperdibili "Pickin'on Modest Mouse" e quello dedicato ai Metallica).
Come se qualcuno prendesse tutte le canzoni dei vari Baustelle, Jovanotti, Afterhours , Tiziano Ferro, Yuppie Flu e ne registrasse delle cover in versione pizzica salentina.
Roba che non ci crederebbe neanche Fox Mulder. Figuriamoci Dale Cooper.

Qualche mese fa, un quartetto di jazzisti capitanato da James Carter (sassofonista piuttosto noto in patria, famoso per le sue riletture dei classici di Billie Holiday), ha avuto la bella pensata di registrare un intero disco di cover dei Pavement.
Sì, quei Pavement. Proprio loro.
Il risultato si chiama "Gold Sounds". Nei momenti più felici rimanda a certo jazz classico (si può dire be-bop?), in altri alla musica che si ascolta dal dentista o in ascensore.
Alcune cover sono diversissime dagli originali (Cut Your Hair, per dire, ci si mette un po' a riconoscerla). La maggior parte invece riprendono i brani originali in maniera talmente calligrafica da sfiorare la comicità involontaria.
Insomma, non saranno come Brad Mehldau alle prese con i Radiohead, ma la curiosità finiscono per stuzzicarla lo stesso.
Ascoltare Stereo ed Here, per credere.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

terribile...

8:06 PM  

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