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Weeds



venerdì, settembre 22, 2006

Everything has changed, absolutely nothing's changed, take my hand, not my picture, spilled my tincture



Per me i Pearl Jam sono sempre stati associati al viaggio. Fin dal primo momento: un sabato pomeriggio in cui programmai una trasferta romana, con tanto di zio ad attendermi in stazione, solo per andare da Ricordi ed acquistare l'appena uscito "Ten".
In cassetta.
Colpa di Alive passata in radio quasi in ogni puntata di Planet Rock e del video di Even Flow.
Quello tutto salti e camicie di flanella.
E lunghi capelli agitati in tutte le direzioni.

Mi sono innamorato subito dei Pearl Jam, e il bello è che non ho mai capito veramente il perché.
Erano fuori moda pur essendo la punta dell'iceberg di una moda (chi ha detto g****e?), non avevano la carica rivoluzionaria dei Nirvana e neanche "la malattia" degli Alice in Chains. Non erano potenti come i Soundgarden, punk come i Mudhoney... erano la via di mezzo.
Ed avevano grandi canzoni in un'epoca in cui le canzoni erano una cosa importante.
Una via di fuga dalla noia delle giornate passate tra le mura della scuola e quelle della cameretta.
Erano tristi, ma di quella tristezza adolescente che è un attimo e tutto sembra dover crollare da un momento all'altro, ma che cinque secondi dopo è già un'altra cosa. Diversa.
E' tristezza che diventa rabbia e se guardi bene, in fondo in fondo, pure allegria.

Non sono mai stato uno di quelli che si segnava i testi delle canzoni preferite sul diario, ma con i Pearl Jam è stata la prima volta che ho sentito il bisogno di arrivare a capirli, i testi, leggerli dall'inizio alla fine come si fa con un libro ed apprendere che musica e poesia sono veramente due cose diverse, che non hanno niente in comune e che quello che ti tocca veramente di un testo è il modo in cui le parole s'incrociano con la musica.
Il significato che ti sembra di percepire, piuttosto che quello reale.
Eppure certi suoni e certe parole me li sono portati dietro per un pezzo. Sapevo che erano lì, senza rendermene mai conto per davvero. Pronte all'uso.

E così mi sono ritrovato a fare di tutto per comprare i loro dischi il giorno della data di uscita (a volte posticipando appositamente l'entrata a scuola), macinare chilometri in cerca dei "singoli" e dei biglietti dei concerti.
I concerti.
Prima ancora di vederli dal vivo la prima volta, sapevo già a cosa avrei assistito.
Erano gli anni dei bootleg e dei live trasmessi dalle radio, di MTV Europe visibile tramite ReteOro e delle serate passate davanti ad Alternative Nation.
Un po' come adesso, non c'era niente d'ignoto. L'unica differenza è che per scoprire le cose dovevi scavare. E poi scavare ancora.
Il concerto al PalaEur si sarebbe tenuto il 12 novembre del '96. Ricordo di aver acquistato i biglietti alla fine di agosto.
Trentaduemila lire, più duemila di prevendita e duemila di "prenotazione".
Mi diedero un voucher e mi chiesero di aspettare una telefonata per sapere quando avrei dovuto ritirare i biglietti.
Arrivò una settimana prima: era una prevendita non autorizzata. Niente biglietti e niente rimborso.
Ma soprattutto niente concerto.
Sono impazzito, ho passato un pomeriggio a scrivere lettere alle riviste musicali, alle radio, all'organizzazione, a Mi manda Lubrano. Tutti.
Ho rotto i coglioni a tutti.
Tre giorni prima dell'evento mi arriva una chiamata: "Salve, come vincitore di un concorso ha diritto ad un pass per il concerto dei Pearl Jam del..."
Non ho ancora capito che concorso fosse, ma ci sono andato.
In tribuna vip. Di fianco avevo Enrico Silvestrin, si era appena tagliato i capelli.
Piaceva molto a mia sorella, gli ho chiesto un autografo:
"Dove te lo faccio?"
"Qui, su Rockstar. C'è la tua foto, guarda."
"Porchiddio, me paro Milva!"

Per il concerto all'Arena di Verona del giugno 2000 mi sono mosso per tempo: biglietti acquistati direttamente in loco. Ma sei mesi prima, costringendo la mia ragazza d'allora a fare un viaggio Monaco - Venezia solo per raggiungere quello scopo. Non potevo correre il rischio.
Siamo partiti con due macchine. Il giorno prima tappa a Monza per i Radiohead, e poi di corsa fino a Verona.
Abbiamo passato tutto il pomeriggio sdraiati sotto il sole nel parco davanti all' Arena. Aspettando l'apertura dei cancelli.
Nel frattempo ci siamo pure lasciati. Con urli, pianti e tutto il resto.
E poi abbiamo preso posto.
Se non esistessero mille video o cd della serata penso che non ricorderei nulla.
Solo che durante Yellow Ledbetter ho sentito veramente un pezzo che si staccava ed un dolore fortissimo.
Diventavo grande. Più o meno.

Alla fine ho preso di nuovo un treno. Un altro.
All'ultimo momento e con un biglietto dell'ultimo minuto.
La destinazione?
La stessa delle altre volte: un concerto dei Pearl Jam.
Tutto uguale, tutto, tranne lo stato d'animo. Niente ansia, agitazione, ma solo la speranza di non tornare a casa con le pive nel sacco.
Deluso o, peggio ancora, indifferente.
Colpa di una vita che negli ultimi sei anni ha messo il turbo e colpa delle canzoni.
Imprigionate come nel ritratto di Dorian Gray: invecchiate di botto pur restando sempre uguali.
Ed è forse per questo che non riesco più ad ascoltare "Ten".
Un disco che ho amato all'infinito e che improvvisamente ha smesso di piacermi.
Colpa dei suoni un po' troppo plasticosi. Tanto da pagare lo scotto degli anni che passano.
E se mentre "Vitalogy" e "No Code" restano capolavori, "Vs" rimane un album di una potenza impressionante.
Gli altri tre quasi non li ricordo più.
L'ultimo, in particolare... non ha superato i due passaggi e mezzo. Compreso l'ascolto dell'ultimo minuto effettuato, in treno, solo per non sembrare impreparato.

Eppure basta poco per cambiare idea.
Le luci che si spengono ed il concerto che inizia.
La diffidenza che diventa stupore. Lo stupore che diventa coinvolgimento. E sorrisi. E lacrime.
E canzoni urlate a squarciagola.
La gioia di trovarsi davanti un gruppo che non ha paura di concedersi e lasciarsi andare, per più di due ore, dando sempre l'impressione di divertirsi.
Rischiando, nonostante tutto.
Nonostante gli assoli di batteria. Una roba talmente uncool da fare il giro e diventare il non plus ultra della coolness.

Perché i Pearl Jam sono questi qua. E solo loro sono così.
Nel bene e nel male.
Guardarli mentre corrono sul palco fa lo stesso effetto che prendere in mano la foto di una ex particolarmente importante.
Rendersi conto di quanto, nonostante gli anni e l'età, sia ancora bella.
Anche solo per una sera.

16 Comments:

Blogger Paolo Cecchetto said...

Eri a Torino?
E' stato un concerto favoloso!
Ovviamente tralasciando l'ultimo, (tralasciabile) disco, è un piacere vedere una band come i Pearl Jam, che non hanno certo bisogno di fare fan service, scatenarsi e divertirsi su un palco per due ore e mezza, concedendoci TUTTI i pezzi che avremmo voluto sentire.

8:51 AM  
Blogger sadpandas said...

Sì: li detesto. Sì: quella "tristezza adolescente" forse non l'ho mai davvero avuta (e ne vado eccessivamente fiero). Sì: per me non sarà mai una schitarrata a guarire le ferite (solo gli accordi di settima alleviano certi dolori). Sì: questo post è decisamente bellissimo.

8:57 AM  
Blogger colas said...

Gomez: no, a Milano.
Massi: e gli accordi di Johnny Marr?
Lui schitarrava un bel po':D

10:57 AM  
Anonymous Anonimo said...

grande!

e poi, mi manda lubrano...

12:16 PM  
Blogger sadpandas said...

:D
dai che lo sai cosa intendo..
i chitarroooooooni!!! L'accordo pieno col distorsore a cannoooooooone!!!
Uddio che cose brutte, altro che Santo Johnny Marr! ;D

1:18 PM  
Anonymous Anonimo said...

Che post! Che ricordi! Li ho visti solo una volta, quel 12 novembre 96, al Palaeur, al modico prezzo di trentotttomilalire, da un bagarino col cuore d'oro.
E ricordo le luci che si spegnevano, mentre partiva l'arpeggio di "Release me"...joder, mi vengono i brividi.
Hai proprio ragione, sai, è come guardare la foto di una vecchia ex, ancora bellissima

1:22 PM  
Anonymous Anonimo said...

E io che stavo quasi per chiederti se ti eri perso i PJ :)
Gran post. E gran serata (anche a Pistoia).

PS. secondo me il crollo di qualità c'è con Yield, in cui si salva ben poco. Binaural il peggiore in assoluto, con tutti pezzi anonimi. Invece ultimamente ho rivalutato Riot Act, che avevo degnato solo di un paio di ascolti. Diciamo che con gli ultimi due album non eguagliano il passato ,ma si sono decisamente ripresi (sì, TUTTO già sentito, ma almeno sono pezzi riusciti).

2:48 PM  
Anonymous Anonimo said...

Anch'io li ho visti a Pistoia, grandissimo concerto. Dal vivo anche le boiate di Yield o Binaural rendono bene!

3:46 PM  
Blogger Paolo Cecchetto said...

Riot act è un disco estrememente sottovalutato (Per esempio Green Disease è un gran pezzo)

4:32 PM  
Blogger colas said...

Per un attimo ho rischiato di andare anche a Pistoia (che scaletta!).
Alla fine ho desistito,.
Anche secondo me il peggiore è Binaural (ma c'è Light Years). Qualche anno fa avrei detto Yeld (ma c'è do the evolution o all those yesterday).
Riot Act mi piacque molto alla sua uscita ma poi non l'ho praticamente più ascoltato (ma c'è I Am Mine, Love Boat Captain e Green Desease).
Insomma, alla fine qualche canzone l'azzeccano sempre.
Solo nell'ultimo, sicuramente onesto e "vivo" nei suoni, faccio fatica a trovare un solo pezzo che non dico faccia gridare al capolavoro, ma neanche al bello.
(forse solo, ma non troppo, Gone)

4:52 PM  
Anonymous Anonimo said...

anche io ho avuto un'esperienza simile alla tua: ho chiesto l'autografo a enrico silvestrin per conto di mia sorella. il concerto era un altro però, smashing pumpkins.
cmq grandi pearl jam, io ancora non li ho visti...:(

10:04 AM  
Blogger JunkiePop said...

a pistoia 2 ore e 45 di continua commozione e epifanie
shock emozionale

11:29 AM  
Anonymous Anonimo said...

post bellissimo! condivido tutto quello che dici sui loro dischi (specie vitalogy e no code!). L'ultimo, da sentire su disco, è davvero 'na palla!

1:45 PM  
Anonymous Anonimo said...

turututtuturutu
a Milano Black da sola valeva il biglietto
Ciao,Z.

5:55 PM  
Anonymous Anonimo said...

i pearl jam fanno schifo e hanno sempre fatto schifo.

10:43 AM  
Blogger colas said...

e allora?

7:06 PM  

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