London, I love you (and you're not bringing me down)
Nel Fondo di Questo Bicchiere non riesce neanche a finire la frase che subito accenna ad un sorriso. La risposta la conosce già.
Con i Jesus and Mary Chain il concetto di "bel concerto" assume tutto un altro valore e significato. Negli anni in cui il gruppo è stato attivo per davvero, la leggenda delle loro performance sgangherate, irrisolte e pericolose aveva fatto il giro del mondo.
"Non sanno suonare."
"Jim Reid non sa cantare."
"Suonano sempre di spalle."
"Sono troppo fatti."
Frasi che se le prendi tutte e le infili in un libro sulla storia del pop-indie-rock degli ultimi vent'anni fanno la stessa porca figura di una carrellata di luoghi comuni in un viaggio in treno.
Per questo motivo anche solo il gesto di prendere un aereo e attraversare mezz'Europa per andarli a vedere viene preso come un atto sconsiderato.
"E se poi fanno cagare?"
"Se poi fanno cagare" non è un nostro problema. Siamo sicuri che non sarà così.
Il nostro problema è l'aeroporto di Ciampino, una stazione di provincia da cui partono per caso degli aerei, e tutto quello che concerne il partire dall'Italia con un volo Ryan Air.
Facciamo il check-in che c'è già un'ora di ritardo. Ci organizziamo per una cena di fortuna e cerchiamo un posto dove sederci. Dopo pochissimo tempo diventiamo l'attrattiva principale per un gruppo di nazionalisti scozzesi che in una decina di minuti cerca di convincerci che:
A) La Scozia lascerà la Gran Bretagna ed entrerà negli Stati Uniti.
B) La carne delle mucche affette da BSE sarebbe dovuta essere data come pasto per i carcerati.
C) Gli immigrati portano delle malattie.
Il discorso finisce nel momento in cui sono costretti ad imbarcarsi.
Noi aspettiamo ancora, ed alla fine riusciamo ad arrivare a Londra che mancano dieci minuti all'una di notte.
Matteo, nostro ricovero e salvezza, deve andare a lavorare solo sei ore dopo. Nonostante questo riesce comunque a venirci a prendere e ad offrirci il suo salotto come giaciglio per la notte.
Il nostro primo giorno londinese, il giorno dei Jesus and Mary Chain, inizia con Rob, coinquilino molto tatuato di Valido, che ignaro della nostra presenza passa dal salotto per andare a fare colazione.
"Hi..."
"Hi, we're Matteo's friends. Sorry for the invasion."
"Not to worry... so, you're from Italy, then?"
"Yeah."
"... Pavarotti?"
"Oh... he's dead".
Con questo bellissimo dialogo nel cuore, ci svegliamo definitivamente ed affrontiamo la vita.
Londra è frenetica e molto cara, questo si sa e non ci stupisce.
Il sole e il caldo, invece sì. "Ed ora che ne facciamo di tutti questi maglioni?"
Passiamo la giornata (e le altre a seguire) andando in giro, incontrando persone che raramente riusciamo a vedere in Italia ed ingannando il tempo in attesa di andare alla Brixton Academy.
Già, la Brixton Academy. Ovvero, quella che sembra una piazza di una bella cittadina italiana incastonata tra le mura di un palazzetto dello sport. Praticamente si ha la sensazione di stare dentro ad una di quelle palline di vetro, un souvenir con dentro i monumenti, e se improvvisamente una mano dall'alto dovesse prendere la Brixton Academy e rigirarla, non ci stupiremmo affatto se ci nevicasse addosso.
Entriamo quando gli Horrors hanno già iniziato. Non erano previsti, non sarei mai uscito di casa per andarli a vedere, ma trovarseli così tra capo e coda dà comunque un valore particolare ed unico alla serata.
Gli Horrors appaiono meno fighetti e cotonati che nelle foto promozionali. Oddio: il chitarrista ha in testa una cofana che neanche Robert Smith, Solange e Daniel Ash nei loro anni migliori, ma insomma, niente di così irritante ed esagerato come sarebbe stato lecito supporre.
Anche dal punto di vista musicale sono una sorpresa. Io che li avevo bollati con la definizione di Motley Cure, una via di mezzo tra glam rock e pop dal taglio wave, mi devo ricredere.
Gli Horrors sono un gruppo emo tirato a lucido per finire sulla copertina di MTV.
E non emo per adolescenti: sono noise, apocalittici, ipercinetici.
Sono sorprendenti. Letteralmente. Nel senso che con i primi due pezzi ti sconvolgono e ti lasciano a bocca aperta. Il terzo e il quattro sono uguali ai primi due. Con il quinto arriva il primo sbadiglio. Al sesto non ne puoi più e speri che arrivino le giubbe rosse, la sifilide, il cimurro e pure un po' di scabbia a colpirli e tirarli giù dal palco.
Fortunatamente durano poco e lo stage viene "smontato" per fare spazio alla solo performance di Evan Dando (più chitarrista carneade).
Nonostante il colpo d'occhio dica tutt'altro, Dando pare decisamente più in forma che nelle ultime sortite a nome Lemonheads. Tranquillo, pacato e concentrato sulle canzoni.
Si muove in equilibrio tra gli episodi dei suoi anni migliori e quelli recenti.
Quando meno te l'aspetti tira fuori una My Drug Buddy da brividi.
Qualcuno in platea si commuove. Qualcun altro si lancia in boo di disapprovazione (anche se io non gli ho sentiti). Probabilmente il fatto di non avere la frangetta ha finito per penalizzare Evan.
Resta che dopo un pezzo, proprio mentre sembra ne stia per cominciare un altro, fa una finta di sopracciglio al chitarrista e di colpo i due se ne vanno. Senza salutare né dire una parola. Noi un po' ci guardiamo perplessi, poi cerchiamo di farcene una ragione immaginando Evan e compare che non si fermano neanche in camerino e, chitarre ancora alla mano, si ritrovano a suonare Rudderless nel taxi che li porta verso l'albergo. A suo modo: un eroe. Come sempre.
Il tempo del cambio palco ed arrivano i Jesus and Mary Chain, in una formazione che anche se non è proprio quella orginale, va bene lo stesso.
Fratello Jim dimostra meno dell'età che ha, è magro e decisamente ripulito rispetto gli anni e gli eccessi che furono. Per Fratello William, invece, è tutto un altro paio di maniche.
Mentre accorda la chitarra cerchiamo di capire a chi somiglia.
Giulia ha un lampo di genio: Pedro Almodòvar (ma anche Alberto Radius). E' bolso nello stesso identico modo. Più che altro io mi ritrovo a pensare all'effetto che la visione di William Reid potrebbe aver avuto sul giovane chitarrista degli Horrors: "Guarda come sei e guarda come diventerai." Roba da abbandonare la chitarra e cercare di farsi assumere come impiegato al catasto. Fortunatamente bastano pochi accordi per capire che l'abito non fa il monaco.
I Jesus and Mary Chain del 2007 sono una band in stato di grazia. Suonano tutti i singoli (più un pezzo nuovo) e risultano assolutamente credibili e compatti.
L'anarchia che aveva caratterizzato i loro anni giovanili si è trasformata in "casualità". Un caos controllato che porta ancora Fratello Jim a dimenticarsi le parole o l'attacco di una canzone ma, insomma, niente di paragonabile al delirio di un tempo. Si finisce per perdonargli tutto, anche l'immobilità e l'inutile cammeo di tale Fi McFall per i cori sul finale di Just Like Honey.
Ma chi se ne importa: io avevo già perso fiato e polmoni per Teenage Lust, Head On, Nine Million Rainy Days. E così anche il resto del saltellante e caldissimo pubblico, caricato a molla dall'inizio alla fine. Fino a Darklands (a quanto pare suonata pochissimo prima d'ora) e Reverence. Con le luci che diventano sempre più ossessive e Jim Reid che urla di voler morire come il Signore Gesù Cristo.
Il concerto si chiude con le orecchie che ancora avvertono il fischio dei feedback. Subito ci lanciamo a fare la fila per recuperare le borse (e nella mia c'erano dei 45giri degli R.E.M. che non avrei lasciato per nulla al mondo) e ci lasciamo la Brixton Academy alle spalle.
A casa di Valido, Rob ci aspetta con una bottiglia di Montepulciano d'Abruzzo comprata appositamente per l'occasione. Vuole fare un brindisi per Pavarotti. Accenna perfino un Do di petto. S'impegna.
Le chiacchiere e le bevute ci guidano fino al sonno. Poi, fortunatamente, ancora Londra, ancora cose da vedere, persone da incontrare e dove non arrivano le parole arrivano le foto.
Nel frattempo è già domenica sera, e noi siamo di nuovo in volo verso casa. A pochi minuti dall'atterraggio il Comandante spiega che saranno spente tutte le luci, come abitudine vuole in "The hours of darkness". Le ore del buio. Lo dice proprio così. Con la stessa voce che si sente all'inizio del video di Thriller di Michael Jackson.
Per una volta l'applauso è doveroso, spontaneo e poco italiano.
Noi, intanto, siamo di nuovo a casa.
Con molta voglia di ripartire.
The Jesus & Mary Chain - Darklands (Brixton Academy 07/09/07)
The Jesus & Mary Chain - Nine Million Rainy Days (Brixton Academy 07/09/07)
Altre foto del concerto e di Londra, in genere, sul mio orribile Flickr.
11 Comments:
Vedi perche' vi frego le battute? Cosi' siete costretti a fare una cronaca come Lemmy (= Dio) comanda, bella e sentita, di quelle che tornero' a leggere sempre volentieri. La cosa piu' azzeccata comunque e' che con band cosi', anche se Jim Reid fosse salito sul palco e dopo la prima amnesia avesse detto "ho cambiato idea, torno a casa", sarei stato felice lo stesso (ma forse solo perche' era la seconda volta). Vi saluta Rob.
ehehehehehe.
Però adesso o posti la prima pagina di tu sai cosa, o me la mandi a me, perché quel capolavoro non può restare un segreto.
:D
Le reunions sono il futuro
Futuro? A quanto ne so ormai sono rimasti solo gli Smiths. E i Pavement. E i Dead Kennedys. E basta.
I Beach Boys con Brian Wilson
gli Slowdive e i Clash:D
Ai Clash manca qualcuno di fondamentale, e i nemici di Brian Wilson sono miei nemici.
Piuttosto non e' da me scordare i Guns'n'Roses...
anche ai Doors, ma questo non li ha fermati.;D
Ottima idea, i Clash con Ian Astbury! ;)
Si parlava di Tim Armstrong. Fortunatamente Paul Simonon ha detto che il mito dei Clash vale più dei soldi.
Per ora...
dio waltzer!
io ed i fioretti alla "nah mai piu' reunion"
eh, io pure ero molto scettico, ma c'è da dire che loro, rispetto ad altri riuniti, comunque si stanno mettendo in gioco un pochettino. Azzardano pezzi nuovi, molti pezzi sono riarrangiati (molto più robusti), e stanno facendo un disco (anche se ora esce un singolo a nome Reid Family). Ah: alla batteria c'è il batterista dei ride!
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