Le prime elezioni che ricordo di aver vissuto (da spettatore non votante) sono quelle del 1989.
Si sceglieva il parlamento europeo, il
Pentapartito non era ancora propriamente archiviato, e mio padre votava
Pannella.
Allora come oggi,
Lorenzo Cherubini era già
Jovanotti.
E lo so che questo può sembrare un fattore marginale, ma non lo è.
Per me, ragazzino di giusto dieci anni, Jovanotti era un punto di riferimento. Il mio idolo.
Siamo portati a credere, erroneamente, che l'abitudine del chiedere pareri politici a nani, ballerine, trapezisti e frombolieri nasca con la colonizzazione del palinsesto televisivo, quello di tarda sera, da parte di
Vespa Bruno e le sue porte che chiamano altre porte. Non è così.
Nel 1989, aver venduto un po' di dischi (un po' tanti) ed indossare un cappellino a rovescio ti rendeva automaticamente un
maitre à penser.
Per questo ho chiaro in testa il momento in cui
Red Ronnie allunga il microfono e Lorenzo esprime la sua preferenza.
"Sulla scheda, io scrivo
James Brown". James Brown. Con tutte le zeppole al posto loro e la risata da idiota alla fine del discorso.
Pensare che da lì a qualche anno sarebbe diventato un guru del centrosinistra, uno di cui
fidarsi, fa quasi sorridere. Ma è andata proprio così.
Jovanotti dice
James Brown ed io penso "che figo!"
Punk, quasi.
Nel 1989 c'era ancora il
PCI. Sarebbe stata l'ultima volta, ma allora nessuno ancora lo sapeva.
E sì, il
Muro era andato giù e tant'altre cose, ma all'epoca, in Italia, "comunista" era ancora una cosa che si poteva dire ad alta voce.
Nel 1994 ancora non votavo, ma la discesa in campo di
Berlusconi, la nascita di
Forza Italia, il congresso di
Fiuggi mi colsero nel pieno di quella tempesta adolescenziale fatta di primi seni toccati e politica vissuta quasi in maniera attiva. Politica ormonale.
Una roba che riguardava tanto lo stomaco e poco il cervello.
Quelle elezioni ancora me le ricordo. Non credo di essere mai stato così coinvolto come in quella consultazione. Berlusconi faceva paura e mi sembrava assurdo che tantissima gente poteva pensare di votarlo. Rimanevo ad occhi aperti davanti alle sfilate di calciatori con coccarda elettorale, gli appelli alla nazione per calza e telecamera, il miracolo italiano. Pareva uno scherzo. Ed era tutto vero.
Alle regionali del 2000, invece, ho votato.
Era l'epoca del
dalemone e delle bombe su
Belgrado.
Le ultime elezioni del centrosinistra
vero. La fine dell'
Ulivo.
Tutto quello che c'è dopo stato è riassumibile con il gesto che fa chi non sa nuotare quando cerca di rimanere a galla. Piedi a mulinello e braccia alzate per richiamare l'attenzione.
Sarebbe stato comodo avere a portata di mano dei braccioli. Invece avevamo
Rutelli. I patti di desistenza,
Cossutta che litiga con
Bertinotti.
E poi: la serietà al potere, il governo
Prodi nato già morto ed il tentativo disperato di salvare un paese sprofondato nel guano.
Perché, parliamoci chiaro, tra i vari mali del berlusconismo il peggiore è proprio quello strano virus che il buon Silvio ha inoculato nella politica italiana.
Quel meccanismo nato dal suo essere sempre e comunque oltre la gara (l'ha già usata qualcuno la metafora dei cento metri e dell'atleta che parte con quindici di vantaggio su tutti gli altri) che ci ha costretto a non votare più secondo coscienza politica, ma a votare sempre e comunque contro.
Turandoci il naso. Parandoci il culo. Scegliendo il meno peggio.
L'anomalia Berlusconi fa sì che in questo paese non sia più possibile essere garantisti o terzisti senza comunque fare un po' anche il suo gioco.
Si eleggono governi per via del senso di colpa. Solo per il senso di colpa.
In questo sistema il
Partito Democratico ci sta benissimo.
Nato vecchio, sbagliato. Senza una vera idea dietro se non quella di fingersi diverso e di essere
opposto. Nel 1994 la coalizione di centrosinistra diceva di essere "
progressista".
Ora è democratica nello stesso modo in cui era democratico e cristiano il partito per cui prima di quattordici anni fa votavano quelli che adesso tifano Silvio.
Ho passato questi ultimi mesi con la certezza che il 13 aprile sarei rimasto a casa.
Ora non ce la faccio. E nonostante la campagna elettorale di
Veltroni non mi sia piaciuta quasi per niente, forse alla fine in una delle camere sarò costretto a votare per lui (peggio, voterò
Di Pietro). Colpa anche delle alternative di sinistra per niente propositive e vincolate a schemi ormai passati, ma che comunque han bisogno di sostegno. Visto che rimangono le uniche con un pensiero laterale all'interno dell'arco costituzionale.
Nel 1989 mio padre poteva permettesi di votare Pannella senza che nessuno venisse a rompergli le palle parlando di voto utile. Jovanotti, invece, votava James Brown ed io lo invidio.
Gli invidio la possibilità di aver potuto votare in anni in cui era possibile anche esprimere una minchiata del genere sentendosi leggero.
E lo invidio anche adesso per la fiducia con cui appoggia un candidato che ha come strategia primaria quella di non dire il nome del suo avversario.
Un po' come
Clinton che poteva pure chiamare la
Lewinsky "quella donna", ma alla fine della fiera sempre il cazzo in bocca le aveva messo.
E lo so, non è una bella immagine.