Primavera Sound 2005 Report (LT 07 Preview)
Stephen Malkmus - Home Alone (LT 06)
Adam Green - American Idol (LT 05)
Low... forever changes (LT 05)
Revisionismi: J Mascis - Martin And Me (LT 05)
Sono un ribelle, mamma (Write Up n.2)
Tra le pareti (www.julieshaircut.com)
Broken Social Scene: all in the family (LT04)
Revisionismi:Weezer-Pinkerton (LT04)
Le parole che non ti ho detto (MarieClaire feb 05)
Revisionismi: Scisma-Armstrong (LT03)
Meg: essenza multiforme (LT03)
Greg Dulli e Manuel Agnelli: Matrimonio all'italiana (LT03)
American Music Club e R.E.M.- Once were warriors (LT03)
La lunga estate dei folletti (LT02)
Not tomorrow!No manana!Today! (LT02)
Blonde Redhead sulle ali della farfalla (LT01)
Oltre la traversa (Il Mucchio Selvaggio 2002/2003)


Weeds



martedì, febbraio 28, 2006

Drum's Not Dead

Ci sono momenti in cui sai che le canzoni ti servono.
Ci sono momenti in cui sai che le canzoni oltre a servirti, ti fanno proprio stare bene.
Gli stessi momenti in cui ti accorgi che stai scrivendo in seconda persona, cosa che fai spesso, che ti piace, che sembra quasi che tu stia parlando di un altro e invece parli di te.
Momenti in cui se stai parlando di te è giusto che tu lo faccia in prima.
Guardandoti in faccia. Perché sì.

Allora, IO ho bisogno delle canzoni.
Spesso e volentieri.
Perché non ho altro, o magari ce l'ho ma non lo vedo. Perché ho bisogno di non pensare, di farmi distrarre, di essere spiazzato, di spiazzarmi.
Non c'è niente di meglio dell iPod che mi piazza a tradimento un brano che n0n pensavo neanche di avere. Niente di meglio di un'innocua canzoncina italiana, per scordarsi in un attimo le tribolazioni come neanche James Murphy, e poi 'sti cazzi se subito dopo lo strano dispositivo da cui ascolto musica sceglie di tramortirmi con l'opera omnia di David Berman, Will Oldham e qualsiasi altro tristone del mio corazon.

Succede però che certe volte le canzoni non bastino, che l'estrema sintesi di quei tre minuti/quattro siano sì un ottimo diversivo, ma non riescano a rappresentare quello che frulla nella testa. O nel cuore. O nello stomaco.
Fate voi, tanto alla fine sono la stessa cosa. In ognuno dei tre c'è un po' dell'altro.
O almeno del loro significato metaforico, che pensare ad un'arteria imbevuta di pancreas non è proprio una di quelle cose per cui vale la pena sprecare una sinapsi, mettere in moto un neurone. Quelle cose lì.

Quello che volevo dire è che volevo fare un post che parlasse di un disco.
Un disco strano. Quello di Kieran Hebden e Steve Reid.
Che poi sarebbero Four Tet e il batterista di Miles Davis, Fela Kuti e tantissimi altri.
Four Tet e IL BATTERISTA.
Un disco registrato live ed in un solo giorno, il quattro aprile scorso, all'Exchange Studio di Londra.
Un disco che si chiama "The Exchange Session Vol 1". Perché la fantasia è importante, ma chiamare le cose con il loro nome certe volte lo è di più.
Robe di pane che va con il pane e di vino che va con il vino.
Robe di improvvisazioni.
Batteria, percussioni e rumori elettronici che si mischiano, si fondono, perdono corpo e diventano flusso. Confusione.
Anzi: con-fusione.
Jazz ed elettronica, free jazz e freetronica. Tutto e niente.
Solo tre tracce (una di sei minuti, le altre di un quarto d'ora). Tre tracce in cui succede la qualunque senza che in realtà non accada nulla. Solo suoni e rumori che fanno capolino e poi spariscono. Si trasformano e ritornano altro.

Volevo fare un post che parlasse di questo disco. Un post con un inizio e una fine. Ed un centro in cui ad un certo punto sicuramente avrei citato i Can. Anzi: i Can, i Can, i Can.
Come The Sonics, The Sonics, The Sonics.
Volevo farlo, poi questa mattina mi sono ritrovato davanti ad un portone ad aspettare una bara.
In mezzo a della gente.
In questa bara c'era un piccolo pezzo di famiglia, uno non troppo diretto ma neanche troppo lontano.
Il resto della famiglia era sparso nel cortile. Qualcuno si parlava, qualcuno si evitava.
Io evitavo e venivo evitato.
Ma gli sguardi li sentivo. Come sentivo le ginocchia che calavano e lo stomaco che si chiudeva.
Sentivo un malessere del cazzo farsi spazio e venirmi a prendere.
Sentivo il cuore che diventava una batteria su cui entravano delle percussioni e del rumore.
Sentivo un sacco di rumore. Ma tanto. Ed ho capito che certe volte ho bisogno delle canzoni,
ma solo certi dischi, dischi tipo quello di Four Tet e Steve Reid, sono in grado di rappresentare alla perfezione quello che sto provando.
O quello che provo quando non capisco cosa provo.

Volevo fare un post su un disco ed ho fatto un post un po'st patetico.
Dovevo dirlo all'inizio.
Come la regola delle scorregge in pubblico:
"Sempre meglio dichiararle prima."


domenica, febbraio 26, 2006

Mammuth (scheletro di)

Ci sono cose che non si dovrebbero mai fare.
Cose rischiose, pericolose.
Cose come mettere le mani in uno scatolone che da troppo tempo lasci chiuso.
Uno scatolone di quelli sigillati con lo scotch dei ricordi archiviati.
Passati, in ogni senso.

A gennaio del 2003 non c'erano ancora i blog (o meglio ce n'erano, ma non ne avevo uno io), c'era una casa diversa con persone diverse con cui ancora mi scambiavo qualche parola.
C'era la voglia di fare, la stessa di adesso, ma con più incertezza e senso del rischio.

E c'era la radio.
A gennaio 2003 c'era la radio.
Ogni martedì tra le 21 e le 22 andava in onda un programma che si chiamava Tweez.
A condurlo eravamo in due. Uno ero io.
Era un programma come un altro. Uno sfizio tra amici trasformato in ambizione.
E' durato un anno esatto.
Quando è finito i blog c'erano già, la casa era la stessa. Ma con le persone che ci abitavano era già troppo guardarsi in faccia. Figuriamoci parlare.

Mettendo le mani in uno di quegli scatoloni che non si dovrebbero mai aprire, ho ritrovato per puro caso alcune puntate della trasmissione.
La regola alla base di Tweez era quella di mettere tutta la musica che ci frullava nelle orecchie.
Senza vincoli di genere, epoca o suono.
Il pretesto: seguire un tema.
Un collante fittizio su cui basare un'ora di chiacchiere e supercazzola.

Per sbaglio ho ritrovato la prima puntata in assoluto. Quella in cui la nostra incapacità era addirittura inferiore all'angoscia di stare seduti davanti ad un microfono.
Quella in cui tutte le cose che fai le stai facendo per la prima volta, quella in cui i lettori dei cd si incantano e le interviste telefoniche non si sentono. Quella in cui il bisogno di dire qualcosa finisce per violare tutte le regole. Soprattutto quelle grammaticali e di dizione. Quelle in cui anche gli strafalcioni in inglese finiscono per avere un senso.

Ho trovato la prima puntata di Tweez. Il tema erano le cover.
La musica scelta (da John Zorn a Pat Boone passando per Zappa,Nick Cave, Jimi Tenor, Cornelius, Steve Wonder ed altri) merita davvero.
L'ospite con cui si facevano quattro chiacchiere era il logorroico e sempre ottimo Raul Montanari.

Ho trovato la prima puntata di Tweez, è imbarazzante.
Ma ho deciso comunque di farvela ascoltare. Che certe volte la nostalgia è più importante della faccia.

Scarica: Tweez 01(gennaio 2003. Le cover).


(Ps: state attenti a quello che dite, che ne ho ritrovate molte altre!)

venerdì, febbraio 24, 2006

Like a Smoking Gun in Front of Me



"... già adesso non c'è più molta gente che ascolta 'Sgt. Pepper', e sono passati solo otto anni da quando il disco è esploso nel mondo del pop e, come aveva profetizzato Richard Goldstein sul New York Times, ha finito per rovinare il rock delle stagioni successive, rendendo i musicisti da quattro soldi ancora più tronfi e pretenziosi di quanto non li avesse già resi la droga..."
(Lester Bangs 23 aprile 1975)

Prendi tutto l'amore che c'è, quello scritto tutto in maiuscolo. L'AMORE.
Quello "fatto di fiori e perline che due mani lerce ti regalano all'angolo della strada" (sempre Bangs). Prendilo, e poi svuotaci addosso il caricatore di una quarantaquattro magnum.
Così, solo per vedere l'effetto che fa.

I Minus 5 sono il giocattolino pubblico di Scott McCaughey, per molti il tizio con la barba che suona le chitarre e le tastiere ai concerti dei R.E.M., per pochi altri uno degli agitatori del rock "altro" americano, in pista fin dall'inizio degli anni '80.
Il giocattolino pubblico, dicevo, la macchina del tempo musicale che il Doc. McCaughey si è costruito nello sgabuzzino e che tira fuori ogni qual volta ha voglia di farsi un viaggio in epoche lontane. Seppur non lontanissime.

"The Gun Album" sembra un vero e proprio disco scritto e registrato alla fine degli anni sessanta. Proprio quando l'AMORE che andava di moda era proprio quello universale di cui si parlava poco sopra. Gli anni sessanta della Londra swingante dei Kinks e di David Bowie (Rifle Called Goodbye sembra un brano di "Hunky Dory"- lo so, è del 1971- registrato con i Byrds) e dell'America di Dylan.

Eh sì, gli anni sessanta dei Beatles.

C'è tanto di Lennon-McCartney nelle canzoni scritte da Scott e dai suoi compagni di viaggio (principalmente Peter Buck, Bill Rieflin e John Ramberg, ma anche gli Wilco, Sean Nelson dei Long Winters e Colin Meloy e John Moen dei Decemberists).
Più il secondo che il primo. Forse.
Tutto è però filtrato attraverso una sensibilità al mille per mille americana ed un gusto per gli arrangiamenti molto più virato verso la semplicità e focalizzato a far luce direttamente sull'essenza dei brani. Senza orpelli e preziosismi, anche se sarebbe stato meglio dire particolarismi, di sorta.
L'influenza dettata dai progetti personali dei partecipanti a "The Gun Album" è evidente come giusto che sia, visti i nomi coinvolti.
Per cui è facile riconoscere in With a Gun e All Worn Out gli Wilco più pop (quelli alla Hummingbirds, per capirsi) e finire quasi per considerare Cemetery Row W14 come un vero e proprio pezzo dei Decemberists.
E' altrettanto facile considerare un album del genere come una specie di All Star Game per gente con stivali e chitarra, un divertimento e poco più.
Un'ancora superflua gettata nell'immenso mare di dischi, mp3, torrent, flac, triccheballacche e putipù in cui siamo soliti annegare.

Un disco che non cambierà la vita a nessuno, probabilmente neanche a chi l'ha fatto, e che va preso per quello che è. Una raccolta di canzoni classiche destinate a tenere compagnia per una giornata, una settimana, un mese, un anno... fate voi.
Finché la noia non arriverà a spazzare via tutto, e non uscirà qualcosa di veramente sconvolgente.

Come dei nuovi Beatles e un nuovo "Sgt. Pepper".
Roba che non succederà mai è che sta lì per dimostrare che ogni tanto, o g n i t a n t o, anche ai più grandi capita di sparare stronzate.

Finché basterà una sola canzone a far andare per il verso giusto una giornata.
Come un colpo di pistola.

giovedì, febbraio 23, 2006

La moda dei piedi (un altro post zeppo di inutili link a canzoni e videoclip)

Il nuovo video dei Liars assomiglia a quello degli Amari.
Una camera fissa ad altezza polpaccio.
La canzone da cui è tratto è senza dubbio la più pop di "Drums Not Dead":
The Other Side Of Mt Heart Attack.

Sempre a proposito di nuovi singoli e videoclip: Nat King Cole è il primo tratto da "Jacket Full Of Danger", il nuovo album di Adam Buble Green.

Hai presente quando una cosa piace solo a te, ma ti piace talmente tanto che allora cerchi di riproporla in continuazione?
Ecco, questi sono i My Latest Novel unplugged per il free-press tedesco/danese Intro:

The Reputation of Ross Francis

Wrongfully, I Rested

Sister Sneaker Sister Soul.

Gli anni passano, ma loro sembrano indistruttibili: Blindspots è il primo singolo di "Under a Billion Sun", il nuovo album dei Mudhoney.

Ci sono momenti in cui tutto quello che ascolti finisce per lasciarti inerte.
Senza entusiamo nè curiosità. Poi capita di mettere su un disco senza pretese e di restarci secchi.
Un disco che non aggiunge niente di nuovo, anzi. Un disco che quando ti era passato tra le mani per la prima volta avevi immediatamente etichettato sotto il più classico dei vabbè.
L'album di Jenny Lewis and The Watson Twins è uscito a fine duemilacinque per Rough Trade, queste sono le BBC Session (via Rbally, un m-blog per cui vale la pena levarsi il cappello). File Under: come Neko Case ma pure più carina.

Un blogger che linka mp3 non è un vero blogger che linka mp3 se non ci mette almeno una cover. Questo è Mark Ronson, e questa è Just come non l'avete mai sentita. Un funkettone smuovi culi di quelli che andavano una volta (come dicono quelli giovani).
Eh sì, Just è proprio quella Just lì. Quella dei Radiohead.

Non c'entra niente, ma c'entra. Oggi è giovedì, giorno di Larsen. Alle 14e50 su FuturaTV - la tv che fate tu- visibile in streaming qui, scenderanno in pista gli Scuola Furano. La missione è impossibile: trasformare un ingessato studio televisivo in un club dei più cool. Ci riusciranno?

Sempre a proposito di Larsen: 2 marzo - Marco Parente, 9 marzo - Studiodavoli, 16 marzo - Settlefish, 23 marzo - Yuppie Flu, 30 marzo - Amari, 6 aprile - Adam Green. Insomma, ce n'è!

mercoledì, febbraio 22, 2006

Santi, poeti e cantanti (One nation under poropopopopò)



Pochissimi minuti fa, a Piazza Castello a Torino, è stato premiato Enrico Fabris con la medaglia d'oro vinta ieri nei 1.500 metri di pattinaggio veloce su pista (non so se sia questa la sigla giusta).
Molto commovente il momento dell'inno, subito dopo la consegna della medaglia.
Enrico Fabris e le quasi tremila persone che gremivano la piazza hanno definitivamente sdoganato il poropo poropo poropopopopò cantandolo a piena voce in mondo visione.

E poi dicono che l'Italia...

martedì, febbraio 21, 2006

Arriva la primavera



L'uno, il due ed il tre giugno duemilasei, per la precisione.

Come al solito a Barcellona.

Con la partecipazione di:

Sleater trattino Kinney, Flaming Lips (lo scrivo bene: FLAMING LIPS), Yo La Tengo, Dinosaur Jr, Mogwai, Shellac, Killing Joke, Violent Femmes, Big Star ed altre cose (tipo Lambchop, Akron Family, Motorhead, Undertow Orchestra-Mark Eitzel, Vic Chesnutt, Dave Bazam e Will Johnson - Television Personalities, Vashti Bunyan, Stereolab, Stuart Staples e Mick Harvey ed un sacco di altre non meno interessanti e forse anche di più ma non mi andava di scriverle tutte, tanto basta cliccare Barcellona).

Il festival più bello d'Europa?
Ebbene sì.

Ancora tra me e quell'altro che si chiama me

"Ancora tu!"
"Ma non..."
"Alt. Fermati!"
"Cosa?"
"Non la dire."
"Cosa?"
"Quella roba di Battisti, basta. Non se ne può più."
"Oh, ma se sei tu che hai cominciato. Non si può iniziare una conversazione con ancora tu, sperando che l'altro non continui. E' come dire volare senza oh-oh, alle dame di Moana senza piace assai la durlindana. Renzulli senza Pelù..."
"Guarda che Renzulli è senza Pelù!"
"Questo è quello che ti hanno fatto credere il governo, la C.I.A., il Moige, il Club di Topolino.
La realtà è un'altra."
"Sì certo. Se lo dici te. Allora, cos'è sta storia che non scrivi perché sei a corto di idee?"
"Eh, è quello che ho detto. Non scrivo perché sono a corto di idee. Punto e basta."
"E devo crederci? Oppure è la solita cazzatina da bambinetto depresso? Cos'è questa settimana non è uscita nessuna canzoncina melensa su cui fare un poemetto?"
"Ma vaff..."
"Vacci tu. E stai zitto e ascoltami. Possibile che non ti viene niente da dire? Eppure di cose ne sono successe. Parla di quello di cui parlano tutti gli altri blogger. E' facile, no?
Tipo: Calderoli. Che mi dici di Calderoli?"
"...mmm... Niente. Solo che una volta ho accompagnato mia nonna in un santuario, in Umbria, e ci sono andato con indosso una maglietta dei Pantera. Sul retro c'era una trivella ed un sedere... il tutto coperto con la scritta censored."
"OK, lascia perde' Calderoli. La Fattoria? L'hai vista La Fattoria? C'è Orlando Portento, la Lucarelli. Lei tira sempre..."
"No, non l'ho vista. O meglio ho visto un pezzetto, ma troppo poco per farmene un'idea. Più che altro mi chiedo del perché tutti gli amanti di TV trash non hanno speso parole per il programma condotto da Ruggeri su Italia Uno. Quello sì che è un capolavoro. Quando l'ho visto io c'era un pornostar a cui venivano poste domande tipo: 'Per fare questo lavoro bisogna avere le palle. Giusto?'. Vera e propria arte. Senza se e senza ma."
"Basta TV, allora. Parliamo di musica."
"No, non mi va."
"Perchè?"
"Perché sì, ho giurato di fronte Dio e la Patria che non scrivo dei nuovi dischi di Grandaddy e Flaming Lips fin quando non escono, e dato che 'sti giorni ascolto solo Grandaddy e Flaming Lips..."
"Avrai almeno visto qualche concerto?"
"Sì, ne ho visti un paio. I Julie's Haircut a Bologna,e gli Arab Strap l'altra sera a Roma."
"Niente da dire?"
"Ma, poco o nulla, più che altro pensavo che certe volte il luogo in cui il gruppo suona ed il gruppo stesso sembrano l'uno il completamento dell'altro.
Tipo, prendi il Circolo degli Artisti. Non è bello, ma non è neanche brutto. E' comunque accogliente, però lo vedi che certe cose si tengono su con lo scotch, che i manifesti che ci sono servono per coprire crepe del muro, che la sua bellezza sta proprio nella sua precarietà e mancanza di perferzione."
"Embè?"
"Esattamente come gli Arab Strap. Anche loro sono così. Hanno canzoni incredibili ma le eseguono scazzati, sembra quasi che le considerino un intermezzo tra una birra e l'altra. Non si curano del pubblico, sembrano annoiati... eppure non potrebbero essere meglio di così. Sono perfetti nella loro imperfezione. Capisci?"
"No. Ma non me ne frega nulla. Possibile che non c'è niente che tu abbia voglia di dire?"
"Una cosa c'è."
"E andiamo!"
"Ho un problema con i parrucchieri. Non riesco a farmi capire da loro, io dico una cosa e loro ne capiscono un altra. Parliamo proprio due linguaggi diversi. Forse la prossima volta che ne vedo uno dovrei provare a parlargli in hopelandic. Magari funziona. Magari no. Però comunque devo cambiare questa cosa. Altrimenti finirò sempre per assomigliare ad uno dei Bloc Party dopo una dieta a base di pajata e coratella."
"Un film dell'orrore."
"Appunto."

domenica, febbraio 19, 2006

Prima regola per il blogger a corto di idee:



Fare un giro su YouTube.

Il nuovo video di Stephen Malkmus? Baby C'mon...

Le due persone più importanti della mia vita: Miss Piggy e Michael Stipe.
Vederle duettare è stato un colpo al cuore (R.E.M. vs Muppets - Furry Happy Monsters).

Sempre parlando di R.E.M. e Michael Stipe, ecco il nostro eroe intento a scrivere una canzone a quattro mani con Tori Amos.

La mia canzone preferita dei Beatles cambia di settimana in settimana. Da un po' di tempo è Rain (video esclusivo girato per l'Ed Sullivan Show).

I Flaming Lips con special guest Cat Power impegnati in una cover dei Black Sabbath.
Dite che è impossibile? Forse non avete ancora visto War Pigs.

Sempre i Flaming Lips, questa volta in versione backing band di Beck. Lost Cause dal vivo al Conan O'Brien.

FrankBlackFrancis e David Bowie cantano Fashion dal vivo. Insieme.
Vedere FrankBlackFrancis senza chitarra è come vederlo nudo. Uno shock.

Stessa canzone, altro duetto. Questa volta tra Bowie e Damon Albarn.

Fra pochissimi giorni i Death Cab For Cutie suoneranno a Milano.
Soul Meets Body. Un'anticipazione.

Lou Reed, Nico e John Cale dal vivo al Bataclan nel 1972. Femme Fatale.

Ultimi ma non gli ultimi degli stronzi: i Talking Heads live alla BBC nel 1978.
Psycho Killer... fafafafafafafafa...

(Per i poco avvezzi a YouTube, i file sono tutti video in streaming, basta cliccare sopra i link appositi ed allacciare le cinture di sicurezza).

mercoledì, febbraio 15, 2006

Cose che si scoprono dovendo scrivere un articolo per un settimanale femminile


Vavatten' è un podcast interamente basato su scherzi realizzati al citofono per le strade di Napoli.
E fa morire dal ridere.
www.vavatten.com/vgblog.html

(la foto è presa da Vavatten che l'ha presa da XL)

lunedì, febbraio 13, 2006

Brian di Arcore. Le grandi esclusive di [indiessolvenza]



"Io sono il Gesù Cristo della politica. Una vittima, mi sacrifico per tutti."

Continua l'incredibile ascesa dell'ineffabile Silvio.
Dopo essersi paragonato a Churchill, Napoleone, De Gasperi e, appunto, Cristo, svela in esclusiva per questo blogghetto quali saranno le sue prossime esternazioni:

"Sono come Pelè."* (Martedì 14 febbraio)
"Sono come Napo Orso Capo." (Mercoledì 15 febbraio)
"Sono come Rocco Siffredi." (Giovedi 16 febbraio)
"Sono un Mac G5 portatile."** (Venerdì 17 febbraio)
"Sono Mila e Shiro due cuori nella pallavolo." (Sabato 18 febbraio)
"Sono le gambe delle gemelle Kessler" (Domenica 19 febbraio)
"Sono Antani come se fosse." (Lunedì 20 febbraio).

Ed un'altra settimana ce la siamo portata a casa.

*Suggerita da un uomo coerente.
** Frutto dell'immaginazione de "Il numero del cieco". Sempre lui.

mercoledì, febbraio 08, 2006

Nightswimming

Ci sono sere in cui non hai voglia di fare niente.
Anche se dovresti fare un sacco di cose.
Anche se non hai tempo abbastanza per farle tutte.

Ci sono sere in cui non hai voglia di fare niente, tranne ascoltare e riascoltare la stessa canzone.

Summer it's... gone ha il suono preciso di certe sere d'inverno.
E' malinconica, ma di quel malinconico che ti scava un buco in petto e ti lascia senza energie.

Ah, Summer it's... gone è la prima canzone di "Just Like The Fambly Cat".
Il prossimo, ultimo, album dei Grandaddy.



Poi, non c'entra niente ma c'entra, su Trees Lounge ci sono i Coldplay con Micheal Stipe che suonano dal vivo una bella versione di In the Sun, più un'altrettanto bella versione di:"... the best song ever written".
Sì, quella del titolo del post.

lunedì, febbraio 06, 2006

Musica per drogarsi



Io odio i Lester Bangs.
Quelli che iniziano le recensioni con la descrizione maniacale del loro ombelico (che poi sarebbe un modo simpatico per dire "i cazzi loro"), e che ogni due righe tentano di far trasparire quanto sono fighi, bravi, talentuosi e che enorme e magnanimo gesto deve essere stato per loro mettersi ad ascoltare un tale disco ad una tale ora.
Figuriamoci scriverne, poi.

Odio i Lester Bangs, perchè amo Lester Bangs quello vero.
Come amo una certa scrittura "di pancia", capace di trasmetterti veramente l'emozione (ma anche l'incazzatura) di un ascolto.

Anche "After Dark, My Sweet", il nuovo dei Julie's Haircut, è un disco di pancia.
Un po' come certi tuffi fatti così senza pensarci. Giusto per la voglia di farli.
Un po' come quelle idee che ti vengono all'improvviso e capisci fin da subito che sono campate in aria, ma nonostante tutto non puoi fare a meno di assecondare.
Quasi tre anni fa, "Adult Situations"aveva rappresentato il passo decisivo dei Julies verso una forma pop inseguita fin dalle prime uscite, la sintesi ideale di quel blob musicale di suoni e influenze diversissime messo in piedi dalla band, ed al tempo stesso la parola fine posta in calce ad una storia che aveva bisogno di una sterzata per andare avanti ed aprire un nuovo capitolo.

Basta poco per cambiare, un gesto insano, come quando si prende una borsa e la si rovescia sul tavolo senza fare troppo caso a dove vanno a finire gli oggetti, rendondosi conto delle cose che si possono nascondere anche in un luogo con cui si è in contatto praticamente tutti i giorni.
"After Dark, My Sweet" è esattamente questo, la scoperta di tutte le carte prima che un nuovo rimescolamento cambi la composizione dei segni, delle scale e di tutto quello che serve per andare a punti.
Per la prima volta nella storia dei Julie's Haircut i pezzi non nascono da un lavoro di scrittura, ma sono frutto di improvvisazioni nate in sala prove e sviluppate in studio.
Un piccolo cambio di metodo che in realtà si rivela enorme e finisce per aprire più porte di quante ne chiude.
La forma canzone viene in parte abbandonata per fare spazio ad una sorta di flusso (le improvvisazioni sono state poi editate, seguendo un processo tipico sia di certo jazz elettrico - Miles Davis, "Bitches Brew" - sia dell'elettronica minimale di scuola krauta), in cui il continuo ritorno di alcuni temi viene di volta in volta declinato in una maniera diversa toccando stili e colori differenti. La parola cantata trova poco spazio (praticamente le sole Afterdark e Pistils sono dotate di un vero testo, mentre negli altri due pezzi "cantati" le linee vocali sono improvvisate almeno quanto la musica), ma quasi non se ne sente la mancanza.
Il focus qui è spostato tutto sugli strumenti e sul suono caldo e pastoso come solo in certi dischi degli anni settanta, ma filtrato da una sensibilità totalmente moderna.

Il taglio con il passato è evidente, ma non così netto come può sembrare.
L'iniziale Open Wound, ad esempio, è un pezzo di "Fever in the Funk House" sette anni ed un sacco di concerti dopo e tutto l'album, anche nei pezzi più oscuri e lontani dai canoni tipicamente indie rock, risente di quell'energia da rock and roll band che aveva animato tutti i lavori precedenti del gruppo e che appariva ancora più limpida dal vivo. Non è un caso, infatti che Satan Eats Saitan sia proprio un recupero dei live post "Adult Situations".

Non si tratta di un disco post rock o prog, come qualcuno ha scritto. Non ci sono nè stacchi forsennati e nè eccessive dilatazioni, molto spesso i pezzi girano solo su due o tre accordi, mentre ad aumentare è solo l'intensità con cui vengono suonati e la dinamica viene creata dall'inserimento progressivo di altri suoni (tastiere, Moog, effetti ed anche Sonic Boom degli Spacemen 3 che furono... c'è di tutto qua dentro).
In una parola sola, una che andava di moda un sacco di tempo fa, psichedelia.

Che mai come in questo caso finisce per fare rima con libertà.
Una roba che sarebbe piaciuta molto a Lester Bang, quello vero, insomma.



Per approfondire meglio "After Dark, M y Sweet", basta fare un giro sul sito dei Julie's Haircut, scaricare il promo digitale fatto in anteprima per Rockit (contiene un estratto dall'album- Satan Eats Seitan- la prima take di Purple Jewel ed un mix alternativo di My Eyes Have Seen the Glory, il tutto gratuitamente e legalmente) e leggere quest'intervista fatta dal buon Signor Onward Toward a Luca G, chitarrista, cantante ed amante dei Dirty Projectors (questa la capiamo in tre, ma era doverosa).

Confesso che ho sbagliato (in realtà è tutta una scusa per postare questa foto)



Editors live @ Qube - Roma.

Il disco degli Editors l'avevo ascoltato una volta e mezza. Forse anche due, ma piuttosto distrattamente.
Se la prima impressione è quella che vale, la prima impressione era stata una via di mezzo tra: " Ma che è, il nuovo album degli Interpol?" e "Che palle, sempre la solita roba".

Fortunatamente non è sempre così, fortunatamente spesso di impressione vale anche la seconda, ed anche se il loro album continua a sembrare un disco degli Interpol e, sì, è comunque sempre la solita roba, certe volte fa piacere dover fare un passo indietro ed ammettere di aver preso un granchio.

Gli Editors visti sul palco del Qube sabato sera (1050 paganti. Record a Roma), sono un gruppo solidissimo. Un gruppo che prende gli strumenti in mano per suonarli sul serio e non per spararsi delle pose.
Dal vivo riescono ad essere trascinanti ed energici pur non perdendo un grammo in precisione, arrivando a riprodurre fedelmente gli stessi suoni del disco (tutti insieme: un bell'applauso per l'effetto di chitarra) seppur acquistando in ruvidità e calore.

Insomma, mi cospargo il capo di cenere e faccio pubblica ammenda.
Gli Editors sono una band coi fiocchi. Una band da rivedere (o vedere per la prima volta) quando torneranno per il prossimo giro italiano (e torneranno, sicuro che torneranno).

Chissà, adesso potrebbe anche venirmi voglia di riascoltare il disco.

Evvabbè, tanto per gradire:

Editors - Blood (ma tanto la conoscete tutti).
Editors - All Sparks.

venerdì, febbraio 03, 2006

"Pasolini is me, accattone you'll be"

i

L'ho ascoltato tutto. Dall'inizio alla fine.
Ho promesso di non dire niente, altrimenti la mafia russa mi gambizza, solo che:

1) L'ascolto è avvenuto in un albergo molto fascinoso.
2) Mentre ero in strada sono stato fermato per un'informazione dall' Uomo Gatto di Sarabanda.
3) Ci sono almeno tre canzoni piene di riferimenti a Roma (e da una di queste è preso il titolo del post).
4) E' molto meglio del precedente. Ma molto.

Basta.
Per il resto: appuntamento a marzo.

Aggiurnament: grazie a Dj Enzo aka l'uomo che mettendola a capodanno mi ha fatto scoprire Rough Gem dei The Islands aka Polaroid, scopro che online c'è anche questa canzone:
Dear God, Please Help Me.

mercoledì, febbraio 01, 2006

Popular culture no longer applies to me

Non sono stato al Good Mixer.
Anzi, fino a poco tempo fa non sapevo neanche cosa fosse il Good Mixer, ma visto che ogni articolo/post che parla del britpop non inizia se non c'è una citazione del Good Mixer, me la gioco subito all'inizio.
Via il dente, via il dolore.
Il fatto è che io il britpop non l'ho mai capito. O se l'ho capito non l'ho capito bene.
L'ho guardato come si guardava un treno in una stazione.
Un treno che va in una direzione opposta alla mia.
Un treno che volendo sapevo dove si poteva prenderlo. Ma non volevo.

Musica inglese (cioè proveniente dall'Inghilterra), l'ho sempre ascoltata, alcuna anche molto amata (devo fare l'elenco? Tutti in coro:"No che non devi."), ma quel movimento lì non è mai riuscito a coinvolgermi.
Troppo fighetto, troppo pieno di ragazzi carini, ed anche troppo effimero.
Io negli anni novanta ero uno da teenage angst e canzoni disperate.
Uno da Dinosaur Jr mattina, pomeriggio e sera.
Pixies prima e dopo i pasti.
Nirvana, Pearl Jam e Alice in Chains nelle notti di luna piena.
R.E.M. , Sonic Youth e Pavement in quelle di luna calante.
Mica robe di frangette e al party fino a tardy.
Guardavo con sospetto tutti i vari Menswe@r, Suede, Echobelly, Powder, Shed Seven, Gene e Bluetones.
Anzi, diciamo che mi facevano proprio schifo.
I Pulp gli ho scoperti pochi anni fa. Nel senso che pochi anni fa li ho spostati da due righe sopra di questa a questa. Ed ammetto il mio sbaglio. Erano grandi.
I Blur sono un caso a parte (soprattutto dal 1997 in poi).
I Radiohead, britpop non lo sono mai stati. Grazie a Dio.

Dieci anni fa il britpop era alla frutta. L'ultimo respiro sarebbe stato esalato l'anno dopo.
Ucciso da "Blur" e "Ok Computer". Titolavano i giornali.
Ma anche da "Young Team" e "The Week Never Starts Round Here".

Dieci anni dopo ed il britpop è ovunque. Solo che si chiama indie.
Solo che lo fanno anche gli americani.

Le stesse frangette, gli stessi ragazzi carini, la stessa esaltazione dell'effimero. Non un' altra, proprio la stessa, ingoiata, digerita e risputata fuori. Giust'appunto per riempire nuovamente i dancefloor delle discoteche rock.

Gli Arctic Monkeys sono gli ultimi arrivati sul grande carrozzone dell'hype a tutti i costi.
Il loro primo album è appena uscito, ma tanto le canzoni le conoscevano già tutti.
Disponibili da mesi, in versione demo, su Internet, vittime di un passaparola digitale tanto scriteriato quanto fortunato.
Ancor prima dell'uscita del primo singolo erano già delle star
Poi il singolo ha fatto il resto.
Ballando come robot del 1984 hanno polverizzato ogni aspettativa e venduto uno sfacelo di dischi.
Uno sfacelo da numero uno.
E' forse il primo caso di fenomeno nato sulla rete in grado di ottenere un grande successo in termini di numeri, copertine di riviste (anche quelle più improbabili) e servizi sui telegiornali nazionali (nel senso di inglesi) e non (nel senso di anche qui in Italia).
Roba che ne parlano tutti. Da Linus di Radio Deejay a Fiorello.
Fini ha confessato di averli sentiti suonare una volta, in Giamaica, e di essersi sentito male per due giorni.
Forse aveva avuto a che fare con il bassista.
"Whatever People Say I Am, That's What I'm Not" (gran titolo, non c'è che dire), non è un disco facile. Soprattutto per chi lo ha fatto.
Ben consapevoli del fatto che "comunque vada sarà un successo" e forse un successo senza precedenti, gli Arctic Monkeys sono entrati in studio con canzoni rodatissime sapendo però che la costante esposizione mediatica li avrebbe anche potuti danneggiare.
Per dire, questo album era atteso da quelli che si mettono sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere del nemico come la manna dal cielo.
Tutti pronti a sparare sul pianista anche se il pianista non c'è.
Anche perchè alla fine c'è poco da recriminare.

Gli Arctic Monkeys fanno il loro e lo fanno bene. Soprattutto quando il loro è inteso come canzoncine veloci che fanno dondolare la testa. Un po' meno quando i ritmi si rallentano.
Fanno il loro, senza se e senza ma
Senza miracoli e rivelazioni.
"Whatever People Say I Am, That's What I'm Not" non è il disco definitivo del duemilasei e non è nemmeno il disco definitivo della musica inglese tout court.
Non è neanche un ottimo disco. Buono, sì, ma di quel buono che non emoziona.
Intrattiene, magari anche sì.
Con il già citato singolone fracassa-rotule, reggono il confronto solo When The Sun Goes Down, e Dancing Shoes. Il resto è mestiere che unisce Libertines, Franz Ferdinand e Strokes.
Ma con un pizzico di realismo stradaiolo in più.

Dal punto di vista dell'impatto con il pubblico non c'era un fenomeno simile dai tempi dei primi due album degli Oasis. L'augurio per loro è che Alex Turner e amichetti non sprofondino nello stesso gorgo dei fratelloni Gallagher.
Quello per noi è che arrivino dei nuovi Blur e Radiohead (magari gli stessi Blur e Radiohead) a tagliare la testa al toro una volta per tutte.

Prima di una nuova (ennesima) resurrezione.


aprile 2005
maggio 2005
giugno 2005
luglio 2005
agosto 2005
settembre 2005
ottobre 2005
novembre 2005
dicembre 2005
gennaio 2006
febbraio 2006
marzo 2006
aprile 2006
maggio 2006
giugno 2006
luglio 2006
agosto 2006
settembre 2006
ottobre 2006
novembre 2006
dicembre 2006
gennaio 2007
febbraio 2007
marzo 2007
aprile 2007
maggio 2007
giugno 2007
luglio 2007
agosto 2007
settembre 2007
ottobre 2007
novembre 2007
dicembre 2007
gennaio 2008
febbraio 2008
marzo 2008
aprile 2008
maggio 2008
giugno 2008
luglio 2008
agosto 2008
settembre 2008
ottobre 2008
novembre 2008
dicembre 2008
febbraio 2009
marzo 2009
agosto 2009

Powered by Blogger



My Feed by Atom
My Feed by RSS


Mp3 and video links posted on this site are for evaluation purposes only. If you like them, buy the CDs and support the artists. Questo blog non rappresenta alcuna testata giornalistica. Anzi, non rappresenta proprio un cazzo.

webmastra: vale