Primavera Sound 2005 Report (LT 07 Preview)
Stephen Malkmus - Home Alone (LT 06)
Adam Green - American Idol (LT 05)
Low... forever changes (LT 05)
Revisionismi: J Mascis - Martin And Me (LT 05)
Sono un ribelle, mamma (Write Up n.2)
Tra le pareti (www.julieshaircut.com)
Broken Social Scene: all in the family (LT04)
Revisionismi:Weezer-Pinkerton (LT04)
Le parole che non ti ho detto (MarieClaire feb 05)
Revisionismi: Scisma-Armstrong (LT03)
Meg: essenza multiforme (LT03)
Greg Dulli e Manuel Agnelli: Matrimonio all'italiana (LT03)
American Music Club e R.E.M.- Once were warriors (LT03)
La lunga estate dei folletti (LT02)
Not tomorrow!No manana!Today! (LT02)
Blonde Redhead sulle ali della farfalla (LT01)
Oltre la traversa (Il Mucchio Selvaggio 2002/2003)


Weeds



mercoledì, giugno 28, 2006

Entertain? No more!

Come gli amanti in crisi, le Sleater-Kinney si prendono una pausa di riflessione.
Come gli amanti in crisi, difficilmente torneranno insieme.



E' stato bello. Ricordiamocele così.

domenica, giugno 25, 2006

Un post intelligente sul referendum costituzionale?

NO.
Punto e basta.
Forte e chiaro.

Dove sono stato fino adesso?

Io non lo sapevo, ma i Ben Folds Five hanno inciso una cover di She Don't Use Jelly dei Flaming Lips.



Eccola
...

Rieccola (nuovo link. Grazie Fagotta).

venerdì, giugno 23, 2006

Un bel Legdrop e passa la paura

OK, la squadra di cui sei propietario rischia la retrocessione per illecito sportivo.
Fa schifo, ma visto lo stato attuale del mondo del calcio ci può stare.

Ok, oltre alla tua squadra anche tu sei stato deferito personalmente.
D'altronde, è giusto. Hai sbagliato devi pagare.

OK, sei mesi fa eri il rappresentante della "finanza pulita". L'emblema dell'imprenditore etico.
Poi un pazzo poco alto ha parlato ad un'assemblea di tuoi pari e tutto è andato a puttane.

OK, sicuramente non è un buon periodo, non capisco però che senso abbia andarsele a cercare in questo modo:

"La Tod's S.p.A, società di proprietà dell'imprenditore calzaturiero, nonchè presidente della AC Fiorentina, Diego Della Valle, ha fatto opposizione alla registrazione dei nomi "Hulk Hogan", "Hollywood Hulk Hogan" e "Brooke Hogan" poichè, la stessa è proprietario del marchio "Hogan", che identifica una particolare linea di scarpe ed abbigliamento. "
(Fonte: Tuttowrestling).



Perché avere contro Berlusconi è dura, ma avere contro Hulk Hogan... è LA FINE!

Mai frequenze furono più disturbate

E' ufficiale, la star dell'edizione 2006 di Frequenze Disturbate sarà Cat Power.
Viste e sentite (soprattutto) le sue ultime perfomance live in terra italica c'è da avere paura,
ma qualche sera fa, ospite di David Letterman, ha dato il meglio di sè con una convincente versione di Living Proof (occhio al balletto).



Gli altri nomi noti di Effedi (dal 4 al 6 agosto) sono:
Ven. 4 AGOSTO AFTERHOURS – CALLA - ¡FORWARD RUSSIA! (tbc) - MONTECRISTO
Sab. 5 AGOSTO CAT POWER - JOSE’ GONZALEZ THE VEILS – altri in definizione
Dom. 6 AGOSTO THE WHITEST BOY ALIVE (new project by Erland Oye/Kings Of Convenience) - WE ARE SCIENTISTS – TUNNG - NON VOGLIO CHE CLARA- altri in definizione.
Tutto copia e incollato dal sito di Kronic.

mercoledì, giugno 21, 2006

We're gonna live in Nashville and I'll make a career, out of writing sad songs and getting paid by the tear.

Anche se viene presentato in tutto altro modo,
c'è un aspetto che il Servizio Civile condivide con il suo collega Militare.
Il nonnismo.
Niente a che vedere con violenza, machismo e sboronaggine assortite.
Niente spille appuntate sul petto ed incomprensibili atti di psuedo-goliardia, per capirci.
Solo una diffusa aria di superiorità che l'obiettore esperto tende a proiettare continuamente sui nuovi arrivati.
Giusto per mettere in chiaro le cose, stabilire le gerarchie.
Far capire che sei lì da un po' e ne ha viste tante, troppe, ora è arrivato il momento di prendersi una pausa e godere degli altri che si fanno il culo al posto tuo.
Non è giusto. Ma è così.

Aspettavamo da mesi la nuova tornata di obiettori.
Per tantissimo tempo eravamo rimasti solo in quattro, costretti a dividerci tra Centro Diurno,
assistenze domiciliari, casa famiglia e trasferte di vario genere. Il miraggio che arrivassero nuovi elementi a rimpolpare il nostro contingente ci dava la forza per tirare avanti, pregustando un ultimo mese di Servizio Civile passato a guardare le partite dei Mondiali in assoluta tranquillità.
Invece, la porta si apre e: "Questi sono i nuovi!"
Il primo non è molto alto, ma compensa con i muscoli.
E' in canotta.
Lo vediamo quel giorno e poi mai più.
Il secondo si chiama Angelo, chiama i disabili "mongoloidi" ed ha in mano un casco con sopra disegnata una Croce Celtica.
Avrebbe voluto fare il militare.
Il terzo si chiama Luigi, parla un dialetto incomprensibile e veste come Costantino Vitagliano.
La prima volta che parlo con lui cerca di piazzarmi tre pasticche di M.D.M.A.
La seconda mi racconta di aver fatto a botte con la sua fidanzata.
La terza dice che forse lei è incinta.
Durante la quarta mi fa capire che ha quindici anni.
Lei, non lui.

La quinta volta che parlo con Luigi, ci rimane male.
Ci mette un'ora a raccontare di Claudia che ha litigato con Cristiano per colpa di Tina e del maggiordomo Ricky.
Io sgrano gli occhi e mi lascio sfuggire un: "Ma chi cazz'è Claudia?"
Lui mi spiega che si tratta dei protagonisti di Uomini & Donne.
Fingo interesse. Fingo tantissimo interesse. Fingo talmente tanto interesse che diventa palese che sto fingendo.
Lui se ne accorge e si offende.
Per una settimana non mi rivolge più la parola.

Torna a parlare un giorno che mi vede armeggiare con lo stereo del centro.
"Uagliù, che mitt?"
"I Silver Jews."
"Ah e chi so?"
"Un gruppo americano."
"Ma che robba fann'? Mettime un po' de house dai!"

Parte Slow Education.
When God was young, he made the wind and the sun Since then, it's been a slow education.
Lo guardo.
And you got that one idea again. The one about dying.
Mi guarda.
Oh oh oh I'm lightning, Oh oh oh I'm rain.
Mi guarda ancora.
Oh oh oh it's frightening I'm not the same, I'm not the same, I'm not the same.

"Vabbuò va', so' capito."

Passa un'altra settimana, Luigi mi viene incontro fiero del suo nuovo paio di occhiali Gucci.
"Me li ha regalati gli padre della mia fidanzata. Mo' me sa che me tocca sposalla.
Posso piazzarti un etto di fumo?"
La solita converazione, insomma niente di più e niente di meno.
E' presto, il pulmino con i ragazzi non è ancora arrivato.
C'è tempo per cazzeggiare.
"Facimm' du' tiri a pallone?"
"No, scusa mi sono svegliato da poco, non ce la faccio."
"Ah, e come che si stanghe, che si fatto ieri?"
"Niente, sono andato a Roma a vedere un concerto."
"Ah, un concerto di quella musica che piace a te."
"Sì."
"Auguri."
Improvissamente però cambia tono e diventa serio:
"Comunque quel disco che hai messo l'altro giorno era bello. Non ce so capito un cazz, me pare un genere un po' da vecchi. Però 'na canzone me piaceva 'n sacco. Co' quella voce profonda quando dice i nomi delle città."
"Ah, Tennessee!"
"Così se chiama? Mo me la scarico... come se scrive?"



I Silver Jews saranno in Italia per due concerti. Venerdì ad Umbertide e sabato a Milano.
Qui si fa una macchina e si va sicuramente al primo.
Perché sì.
Tennesseee si scrive ancora Tennessee.

martedì, giugno 20, 2006

C'era un tempo. Le grandi chicche di [indiessolvenza]

C'era un tempo in cui in Italia si vendevano tanti dischi.
Tanti. Tantissimi.
Un tempo in cui andavano di moda i jukebox e le radio, quelle grandi, piuttosto che limitarsi a mandare in onda solo i singoli imposti dalle case discografiche avevano una vera e propria valenza sociale trasmettendo e propagandando musica altrimenti irriperibile.
C'era un tempo in cui l'Italia veniva considerato un "mercato in espansione".
Un luogo su cui insistere per far affermare artisti utilizzando le più disparate tecniche promozionali.

Era usanza del beat all'italiana quella di tirar su gruppetti che si appropriassero in un modo nell'altro di brani famosi all'estero e ne riproponessero la loro edulcorata versione.
Il passo successivo fu quello di convicere gli stessi musicisti a ricantare le loro hit in una lingua diversa dalla loro.
Capitò così che As Tears Go By divenne Con le mie lacrime.
Il testo in inglese fu tradotto quasi letteralmente in italiano e Mick Jagger si cimentò con una performance nella nostra lingua quantomeno bizarra.
Fu un successo. Tanto che ci presero la mano.
Nel 1970 qualcuno diede a Mogol il compito di riscrivere Space Oddity.
Mogol lo fece, presentando un testo ex novo.
Bowie lo ricantò.
Ragazzo solo, ragazza sola non ebbe grandi riscontri qui da noi.
Forse perché l'accento italiano di Bowie rasenta la comicità involontaria.
Forse perché il testo di Mogol rasenta la comicità involontaria.
Forse perché Space Oddity era perfetta così.
Forse perché doveva andare così ed io, trentasei anni dopo, dovevo scriverci un post sopra.

Questa è la canzone. Giudicate voi.


C'era un tempo in cui in Italia si vendevano tanti dischi e gli artisti internazionali venivano costretti a cantare i loro successi anche in italiano.
A pensarci bene l'hanno fatto anche i Blue e i Backstreet Boys...
ma questa è un'altra storia.

lunedì, giugno 19, 2006

You say it's your birthday, we're gonna have a good time


Del gusto che provo nell'arrivare sempre un attimo dopo ho già parlato diverse volte.
Ieri (domenica 18 giugno), Paul McCartney ha compiuto i fatidici 64 anni.
Tg e giornali italiani si sono portati avanti celebrando l'evento già all'inizio della settimana appena trascorsa.
Io non lo so se a 64 anni si sia ormai troppo vecchi per il rock and roll, e non penso neanche che McCartney sia invecchiato particolarmente bene (cioé: nel fisico è invecchiato benissimo, sul personaggio che è diventato, invece, ho qualche dubbio), ma la canzone che ha fatto sì che questa data sia stata attesa per quasi quarant'anni l'ho amata un bel po'.
Per cui: buon compleanno uomo mancino che eri amico di John Lennon.

Questo è il regalo di [indiessolvenza]:

When He's 64 - A Beatles Tribute

Lato A
  1. Introduction
  2. Grandaddy - Revolution
  3. Stevie Wonder - We Can Work It Out
  4. Jim Carrey - I Am The Walrus
  5. Eels - I'm Only Sleeping
  6. Ben Lee - In My Life
  7. Fiona Apple - Across The Universe
  8. Cyndi Lauper - Strawberry Fields Forever
  9. Doves - Blackbird
  10. Sonic Youth - Within You, Whitout You
  11. Pixies - Wild Honey Pie
  12. Siouxie and the Banshees - Helter Skelter
  13. The Damned - Help
  14. Franz Ferdinand - It Won't Be Long
  15. Afghan Whigs - Rain

Lato B (Bonus Tracks)

  1. David Bowie - Penny Lane
  2. Fuck - Don't Pass Me By
  3. Elliott Smith - Because
  4. William Shatner- Lucy in the Sky With Diamonds
  5. Marvin Gaye - Yesterday
  6. Keith Moon - In My Life
  7. Denovo - Come Together
  8. Dino e i Kings - Cerca di capire (I Should Have Know Better)

Clicca qui per scaricare.

Update: e se non ne avete abbastanza, questo è un pazzo americano che ha re-interpretato interamente l'album "Revolver". Un pazzo.

sabato, giugno 17, 2006

Per loro sarà una guerra (ecche ci volete fa'... sono fatti così)

Per noi...



Gattuso, Pirlo, Zambrotta, Blasi e Cannavaro ritratti nella nuova campagna pubblicitaria di Dolce & Gabbana.
Da notare particolarmente la foto in basso al centro (quella presente su tutti i muri di Roma e che ho disperatamente cercato in una risoluzione decente) in cui emerge Ringhio nella tipica posa di quello che si è appena alzato dal divano ed ha sparato una puzza da hola.
(Non male neanche Zambrotta messo a sedere per non far sembrare Cannavaro il Nano Bagonghi che in realtà è).
Aspettando Italia - Usa.
(Partita da seguire e commentare, ovviamente, su DoppiavuEmme).

venerdì, giugno 16, 2006

Senza parole (solo guardare)



Gli Smiths nel 1987.

Presentati da Carlo Massarini.

Suonano Ask.

In playback.

Al Festival di Sanremo.

giovedì, giugno 15, 2006

La palla pazza che strumpallazza (un post a punti di quelli che si facevano quando questo blog era ancora cool)



_ The W.A.N.D. Il nuovo video dei Flaming Lips (qui in anteprima).

_ Com'è come non è, le Pipettes sono state ospiti di Radio DeeJay (nel programma di "Togo, cazzo, figata" Nikki) ed hanno eseguito live Why Did You Stay e Pull Shapes. Ecco i video. Clap your hands if you want some more...

_ A Milano, la scorsa settimana, c'è stato il Miami festival. Questi sono gli Yuppie Flu dal vivo, sul palco "Sandro Pertini".

_ Io i Tool me li sarei andati a vedere molto volentieri. Ma il loro concerto romano del 21 giugno è stato spostato al Palaghiaccio di Marino per motivi di agibilità. Da non perdere, comunque.

_ Le brutte notizie non arrivano mai da sole: è in programma una reunion dei Beach Boys.

_ Il nuovo singolo di Tiziano Ferro è uguale al singolo di Kelly Osbourne di un anno e mezzo fa. Lo so, l'hanno scritto ovunque, ma volevo salire sul carro degli inquisitori anche io.

_ Anche io sono caduto nel tunnel dei mondiali. Tra partite viste alla tv (poche), quelle al computer (di più) e quelle sentite con il commento della Gialappa (tutte), sono in grado di riconoscere alla perfezione le terga di qualsiasi centromediano metodista presente in terra di Germania. Di calcio ed altre stronzate ne sto scrivendo a bizzeffe anche su DoppiavuEmme. Prestigioso blog collettivo dedicato proprio ai Campionati del Mondo.

_ Sempre a proposito di Campionati del Mondo, mentre l'inno dei Pooh finisce piano piano nel dimenticatoio, si afferma il vero inno della nazionale italiana:
"Siamo una squadra fortissimi" di Checco Zalone.
"E se qualcuno ci ostacola, ce lo diciamo alla cupola!"
(E questo è l'mp3 da scaricare aumm'aumm...)

mercoledì, giugno 14, 2006

Ira Kaplan ha contato fino ad infinito. Due volte.

Un post sugli Yo La Tengo richiederebbe troppo sforzo e fatica.
E' difficile mettere in ordine la carriera e la storia di un gruppo che partendo dal bassissimo ha finito per segnare in maniera indelebile la musica dell'ultimo ventennio.
Ci sono cose che non si possono raccontare con poche parole, cose che hanno bisogno di tempo, di calma, di serietà e leggerezza.
Esattamente come la musica del trio, sempre in bilico tra carezze e graffi.
Sempre in punta di piedi.
Senza porsi il problema di osare, sperimentare e di "tornare indietro".

L'estate 2006 degli Yo La Tengo è iniziata con il botto.
Un tour europeo (ed italiano) che ha raccolto consensi ovunque, un nuovo album previsto per settembre e che si candida da subito a ricevere il premio per il titolo dell'anno ("I'm Not Afraid Of You and I Will Beat Your Ass").
Una nuova canzone ascoltabile in anteprima sul loro sito ufficiale (Beanbag Chair), ed un disco di cover nato nel 1996 e reso disponibile solo ora e solo tramite Internet.
"Yo La Tengo Is Murdering The Classics" è la dimostrazione lampante di come sia possibile affermare un'identità anche appropriandosi di quella altrui.
Come un serial killer in un romanzo di quart'ordine.
Ira, James e Georgia entrano a gamba tesa sulla storia del rock e la plasmano a loro modo, marchiando a fuoco anche canzoni scolpite da tempo immemore nella memoria collettiva.
Sono i nostri Velvet Underground.
Come e più dei Sonic Youth.



Ascolta: Sweet Dreams (Are Made of This).

L'intera tracklist è visionabile (e scaricabile) su Una Piel De Astracan.

martedì, giugno 13, 2006

Frosino' supersta' la Curva Nord impazzisce pe'tte!

(Moglie e buoi...)



Il Frosinone Calcio l'ho scoperto tardi. Avevo otto anni e fino ad allora avevo vissuto serenamente ignorando le categorie inferiori alla Serie A.
Erano gli anni in cui c'era solo il calcio, la musica prendeva spazio piano piano (quell'anno mi regalarono "Appetite For Destruction"), e il sesso non esisteva.
In un giorno imprecisato del mio ottavo anno scopro che nella mia scuola milita la figlia di Ambu. Scopro anche Ambu, quando lo vedo circondato da tutti i miei compagni.
Passa poco e mi ritrovo con il suo autografo sul diario.

Ho l'autografo di Ambu, ma non so chi sia.
Mi metto a studiare: ha avuto un passato in squadre più blasonate, è un centrocampista. E gioca nel Frosinone.
Ed è così che per motivare un autografo mi ritrovo a sapere tutto del Frosinone Calcio.
Gioca in C2, è in testa al campionato e mancano poche gare alla fine.
La più importante è Frosinone - Latina. Se si vince si sale in C1.
Chi c'era se la ricorda ancora, chi non c'era si ricorda una città interamente giallo-blu.
Bandiere e sciarpe ovunque. Anche sul mio balcone.
Si vince e si sale in C1. Segna Pippo Orlando.
L'anno seguente va male, malissimo. La società non ha più soldi, la squadra in campo non gira.
Un altro "spareggio", questa volta per non retrocedere.
Si gioca e si perde con la Vis Pesaro.
Qualche giorno dopo, nella mia scuola, la partita viene replicata tra compagni di classe. Giallo-Blu contro Bianco-Rossi. Qui vince il Frosinone e in campo e fuori ci picchiamo come mai prima.
Una partita vera.

Nel frattempo la musica diventa importantissima, comincio a vivere attaccato alla stereo e scopro tutto un mondo sotterraneo di gruppi locali.
Sono gli anni di Seattle capitale della musica, ma in Ciociaria suonano ancora tutti metal.
Non esiste una scena, ma diverse scene. Metallari contro tutti, in pratica.
Qualcuno prova anche a fare una fanzine, ma l'esperienza dura poco.
Sono gli anni del liceo e delle occupazioni, del calcio che diventa fantacalcio e del Frosinone costretto sempre a giocare tra color che son sospesi tra i Dilettanti e la C2.

Per una serie di fortunati eventi mi regalano un abbonamento. Il Frosinone è allenato ancora una volta da Mari, quello della promozione contro il Latina, ma a metà campionato viene sostituito da Sorrentino. Un piacione da generazioni, non molto portato per il ruolo dell'allenatore.
Ed infatti va malissimo. Ogni domenica lo stadio è vuoto ed il Frosinone gioca da schifo.
Il tutto si adatta in maniera perfetta al mio umore del tempo e non salto neanche una partita.
Sotto la pioggia, al freddo, sono sempre allo stadio. E non me ne frega niente dei risultati e neanche del tifo. Ci vado perché ci devo andare.
Ma con la musica il gioco diventa sempre più serio. E finalmente anche in Ciociaria emergono gruppi degni di tale nome.
Su tutti gli Slacker Monday e i Mahatma Transistor. Uno filiazione dell'altro, vengono visti da tutti come una specie di anomalia. Non suonano metal, non sono bravi tecnicamente, non ricordano i Nirvana. Sono un'altra cosa. Sembrano i Pavement ed i Sebadoh. Sembrano la musica che ascolto io. I primi riescono anche a pubblicare un disco "vero" ("Have a Good Day" per Vurt Records). In quegli anni sembra che tutto stia cambiando. Si organizzano festival, concerti, compilation...
E poi ci sono i Mosquitos, la gloria locale. Il gruppo di punta.
I Thin White Rope del basso lazio.
Pubblicano il primo disco ("I Only Use My Gun Whenever Kindness Fails") per la ViceVersa di Catania e dispensano psichedelia sui palchi dell'intera provincia e non solo.
La scena ovviamente non esiste ancora. Ma va bene così.

Io nel frattempo il Frosinone non lo vado più a vedere.
Torno a vivere a Roma e seguo la squadra sempre in bilico tra la C2 e la C1, solo tramite il televideo.
Nel 2002 mi capita di tornare allo stadio.
Il Frosinone perde. E' una brutta annata.
Ma qualcosa sta per cambiare.
E cambia con l'arrivo in panchina di Daniele Arrigoni.
Finalmente una squadra seria e con un allenatore serio.
Il Frosinone torna in C1. Per festeggiare la promozione si gioca contro la Lazio.
Eva Grimaldi è la madrina di una serata trashissima.
Vado in Spagna a vedere i Pixies. E' la fine di un ciclo.
Intanto la Cantina comincia a fare sul serio organizzando concerti su concerti.
La provincia si sveglia.
E continua a svegliarsi, anno dopo anno.

Sabato sera sono andato a vedere i Be-Hive, era da parecchio tempo che non li sentivo suonare dal vivo e loro sono come il vino buono. Più passa il tempo e più diventano bravi.
Sono fuori moda, fuori tutto, ma suonano e benissimo.
Qualcuno dice che ricordano i Queens Of The Stone Age, qualcuno i Gun Club.
Loro semplicemente si fanno il culo, seguono un percorso e tirano avanti.
Gli Snake Of June, invece, erano al secondo concerto. Devono migliorare, crescere, ma hanno un suono immediatamente riconoscibile e non hanno paura di rischiare.
Si muovono dalle parti degli Uzeda, hanno la foto di Steve Albini sul cruscotto del furgone e si divertano a creare tensione e giocare con i rumori. Non hanno ancora registrato una nota.
A fine serata, quando ormai il palco era già quasi smontato, le band si sono mischiate e con alcuni componenti degli Shout -gruppo nato per fare rock in italiano e che con il tempo è diventato altro. Anarchici, sperimentali, ingestibili, giocano con l'avanguardia, girano film e vanno per la loro strada. Assolutamente originali e fuori dagli schemi- hanno dato vita ad una jam session dai forti connotati psichedelici.
Altre band si stanno facendo strada: i Fleven, gli Sweetsick, i Betty Ford Center, tutti più o meno bravi, tutti ancora piuttosto acerbi. Ma quello che conta è la voglia di fare qualcosa in una provincia dove non succede mai nulla.
A luglio ci sarà un festival (Dirtwood Days), più avanti arriverà uno split in vinile (tra quattro di questi gruppi) e tanto altro sta per accadere.

Domenica il Frosinone Calcio ha battuto il Grosseto 1-0.
Per la prima volta nella sua storia sbarca in Serie B.
Ora si gioca per davvero.

Riferimenti:

Slacker Monday. Il loro sito non funziona più, ma questa è la loro cover di All the Time in the World.
Mahatma Transistor. Quando c'erano loro nessuno aveva Internet. Questa è Annie.
Mosquitos. Non ce l'hanno fatta. Anche loro hanno aperto un myspace.
Be-Hive.
Shout.
Fleven.
Sweetsick.
Betty Ford Center.

giovedì, giugno 08, 2006

We're from Barcelona... comunque. Terza ed ultima parte

Il sabato inizia girellando per il centro di Barna alla ricerca di qualcosa da mangiare e dischi.
Lo sguardo si perde ad osservare una folla di spagnoli, inglesi ed americani con il naso all'insù.
Sono sotto un palazzo sulla cui terrazza si vede una folla di persone intente a smontare costosissimi oggetti scenografici e tecnici. Loro non sanno che stanno guardando Fabio Volo che se ne va.
E forse è meglio non farglielo sapere.
Arrivo presto sul luogo del festival, alle 17.00.
All'interno dell'Auditori (come dicono qui) sta per suonare Vashti Bunyan.
Sale sul palco dopo un lungo soundcheck, si siede su una sedia, prende in mano una chitarra ed inizia a cantare. Ogni canzone viene introdotta da un lungo monologo.
A vederla così da vicino sembra una di quelle fricchettone che puoi trovare al mercatino la mattina intente a vendere collanine di perle.
La sua voce è una macchina del tempo, ti trasporta in un mondo a metà tra la fiaba e la realtà.
Sembra la versione senza patemi d'animo di Nick Drake.
Anche se alla lunga finisce per stufare.
Il momento più alto del concerto rimane quando presenta un brano dedicato ad un suo amico pittore, invitando la gente ad immaginare la canzone come se si trattasse di un quadro.
Nel silenzio irreale dell'auditorium si sentono solo due voci. Quella di Vasthi e quella di Gioacchino, talmente preso dal racconto da lasciarsi sfuggire un accoratissimo: "Alla faccia r'o cazzo!"
Superato un attacco prepotente di ridarola decido di spostarmi all'aperto dove da lì a qualche momento dovrebbero iniziare gli Akron/Family.
Il loro concerto romano del novembre 2005 rimane uno dei più belli visti l'anno scorso, e per forza di cose l'attesa è alta. Purtroppo non riesco a vedere l'inizio, ma trovo comunque la band in forma smagliante. Se è possibile ancora più folle rispetto qualche mese fa.
Continuano a muoversi in bilico tra delicate ballate psycho folk ed incursioni terroristiche nel rumorismo più totale. Il tutto portato avanti con enorme ironia.
Suonano anche qualche pezzo nuovo, dedicano un paio di canzoni ai Flaming Lips e si lanciano in jam psichedeliche che finiscono per confluire in vere e proprie canzoni pop.
Vado via prima della fine per tributare un doveroso omaggio ad uno degli uomini che più di tutti ha contribuito a scrivere la storia del pop obliquo, Alex Chilton.
L'ultima incarnazione dei Big Star sale sul palco quando sono appena le diciannove. Bastano pochissime note per capire che fanno sul serio e spazzare via tutti i dubbi.
Chilton fa impressione, è scheletrico, tesissimo, un fascio di nervi con chitarra Gibson.
I suo compagni vecchi e nuovi di avventura non si risparmiano, è un concerto onesto, che bada al sodo e che arriva dritto al punto.
Dopo quasi un'ora decido di fare un salto di nuovo dentro l'auditorium. Gli Shellac dovrebbero essere sul palco già da una mezz'ora, ma la possibilità di riuscire ad assistere anche solo ad uno scampolo di show non può essere lasciata cadere senza neanche fare un tentativo.
Quando entro nell'auditorium trovo il delirio. Gli Shellac suonano raccolti, sul palco enorme.
Le rigide regole comportamentali che si dovrebbero rispettare in uno spazio così istituzionale sono tutte andate a farsi benedire.
Steve Albini ha invitato la gente a lasciar perdere i propri posti a sedere, Weston ha fatto di più. Ora il palco è riempito dal pubblico. Gli Shellac suonano circondati come nei concerti hard core dei tempi andati. Lo scampolo di show alla fine diventa praticamente un'altra ora di concerto in cui suonano anche pezzi nuovi (il nuovo album dovrebbe chiamarsi "Excellent Italian Greyhound"), chiedono al pubblico di fare domande ("What about Polvo?"), si abbandonano a gustosi siparietti (Todd Trainer che lascia i tamburi, si alza in piedi e si avvicina al microfono con una bizzarra camminata), corrono per lo stage mimando un aeroplano (Bob Weston) e suonano con una violenza tale da far sembrare Lemmy un membro dell'Opusghei. Non è la prima volta che li vedo dal vivo, ma è la prima volta che li vedo "così". Gentili, simpatici, assolutamente non stronzi e capaci di suonare come nessun altro.
Albini è un chitarrista enorme. Lo so, detta in questo modo può apparire una cosa scontata, ma spesso si tende ad esaltare il produttore (giustamente) e sottovalutare il musicista che vale tanto quanto.
Un bluesman con l'hard core nelle vene.

L'idea iniziale era quella di evitare Lou Reed (troppi pareri negativi sui recenti concerti italiani, troppi concerti visti in genere) e scegliere i Deerhoof. Ma un altro concerto noise dopo quello degli Shellac sarebbe come andare a vedere una partita del Raschiacco di Faedis dopo aver visto giocare l'Argentina di Maradona contro la Francia di Platini.
Guardo il programma in cerca di spunti. Fra qualche minuto (se Albini, Weston e Trainer si decidono a lasciare il palco libero) dovrebbe iniziare la Undertow Orchestra.
La nuova banda messa in piedi da Mark Eitzel (devo veramente scrivere chi è Mark Eitzel?), Vic Chesnutt (devo veramente scrivere chi è Vic Chesnutt?), Dave Bazan (devo veramente scrivere Pedro The Lion?) e Will Johnson.
Ecco, di lui devo veramente spiegare due cose. E' la mente dietro Centro-Matic e South San Gabriel. Al Primavera Sound è riuscito ad esibirsi con tutte e due le sue formazioni (con i Centro-Matic addirittura due volte) ed è una vera e propria rivelazione. Almeno per me che non avevo assolutamente idea di chi fosse.
Il clima sul palco è assolutamente rilassato, presto anche il pubblico. I quattro (coadiuvati da un altro membro dei Centro-Matic) si lasciano andare in chiacchiere e battute, prendono scampoli dai loro personali repertori e li mettono sul piatto comune riarrangiandoli ed arricchendoli di nuovi sapori. Da lacrimoni "Home" e il momento dedicato a Chesnutt (è impossibile vedere una persona ridotta in quel modo riuscire a cantare con una voce da pelle d'oca). Efficace l'attacco di Pedro The Lion con i pezzi più tirati dell'intero live act.
Della "rivelazione Johnson" ho già detto. Suo il compito di mettere la parola fine con una canzone in lotta per essere l'altro tormentone del festival (con quello degli I'm From Barcelona, ovvio).
Il tempo di affrontare l'escursione termica tra il dentro l'auditorium e il fuori, lottare contro il vento forte come un servizio di Ivanisevic è quello che basta per rendersi conto che Lou Reed sta ancora suonando. Con sommo piacere riesco a godere di Coney Island Baby e Set the Twilight Reeling, mentre vengo a sapere di essermi perso I'm Waiting For the Man e White Light/White Heat. Nessun rimpianto, comunque. La nuova formazione di Lou Reed, quella con basso elettrico e contrabbasso insieme, non riesce proprio a convincermi e finisce per assottigliare il suono a quello di una normale band di rock americano. Una band pretenziosa di rock americano.
Non aiuta poi la comparsa durante il bis (mi pare fosse Mystic Child) del maestro di Tai Chi del cantante, impegnato ad arricchire l'esibizione con mosse e coerografie che dovrebbero comunicare qualcosa ma che in realtà riescono solo a piantarmi in testa l'immagine di Lou Reed e Laurie Anderson intenti a fare le stesse mosse, in mutande, nel soggiorno di casa loro. La tournée di due anni fa era un altro mondo. Spero che se ne accorga presto anche lui.

Mentre al chiuso tocca ai Lambchop, faccio la strada che dall'Estrella Damm mi porta fino al Danzka. I Brian Jonestown Massacre sono già lì che si dimenano sul palco, alle prese con la loro visione psichedelica e malata del rock and roll. Impossibile non fare il paragone con i Black Rebel Motorcycle Club e se Brian e compari appaiono più genuini è evidente che quelli ad avere le canzoni migliori sono questi ultimi.
Il concerto finisce per fare un po' a pugni con la noia, ma va avanti senza intoppi tra bottiglie di vino rosso e whisky scolate come se fossero piene di aria fresca.
Da notare assolutamene la presenza a centro palco di un uomo con le basette che neanche il figlio di Gheddafi, il culo perennemente in fuori e il tamburello nella mano destra.
Di fronte ha un microfono, ma non canta. Non fa niente. Agita solo il tamburello.
Il mio nuovo idolo, insomma.
E' il turno dei Violent Femmes. Uno dei nomi più attesi della serata.
Sono in imbarazzo a parlare del loro concerto, visto che tutte le persone con cui ero a Barcellona lo hanno apprezzato tantissimo ed hanno passato il tempo a ballare e saltellare.
Io no.
E' che i miei Violent Femmes sono quelli che vanno dal 1983 all' 89. Tutto quello che è successo dopo non mi appartiene, l'evoluzione del gruppo mi è ignota.
Nella mia testa i Violent Femmes sono tre ragazzini punk alle prese con canzoni sgangherate. Non degli stimati musicisti, con una sezione fiati, un chitarrista aggiunto, un percussionista ed un suonatore di tastiere con tanto di computer dalla mela luminosa appiccata sopra. Sono perfetti, suonano benissimo.
Troppo bene. Sembrano la versione per famiglie di loro stessi.
E' come andare ad una festa e poi rendersi conto di trovarsi all'interno di un set cinematografico e tutto quello che vedi è finto. Pura coerografia, come le mossette ed i saltelli di De Lorenzo e le canzoni arrangiate in un modo per cui non non si debba mai venir meno al momento karaoke.
Certo, Add It Up, Blister in the Sun... tutte canzoni che ascoltate dal vivo ti lasciano qualcosa dentro, ma non quel qualcosa che era lecito sperare e pretendere.
Ma tutti ballano e tutti cantano.
Tutti battono le mani. Anche durante gli assoli interminabili di basso e batteria (e lo so che c'erano anche nel primo disco, ma non così). Forse sono il solo a non aver capito nulla.
Gli Stereolab li vedo dalla gradinata. Bel concerto, nulla di dire in contrario, così come sono belle le immagini che vengono proiettate alle spalle di Laetitia Sadier e Tim Gane.
Purtroppo scelgono di cimentarsi solo con il loro repertorio più pop, lasciando un po' di amaro in bocca.

Durante tutto il giorno mi sono imbattutto volente o nolente in un gruppetto di scozzesi visibilmente ubriachi, battenti bandiera del loro paese con sopra la scritta Mogwai.
Finalmente è il loro momento, mentre dagli altoparlanti viene diffusa la musica che fa da sottofondo alle gare di Champions League (cosa che manda in visibilio anche i catalani presenti), urlano e battono le mani inneggiando al loro gruppo preferito.
Sembra un concerto punk ed invece è un concerto post rock. I Mogwai salgono sul palco inguainati nelle tute del Celtic Glasgow.
Aprono con Yes! I Am a Long Way From Home seguita da Friends of the Night.
Sembrano molto più in forma rispetto alla data romana di un paio di mesi fa. Ogni pezzo viene accolto da urla ed applausi scroscianti dal pubblico.
Faccio in tempo ad ascoltare Summer e Mogwai Fear Satan, prima di lasciarli a malincuore.
Stanno per suonare i Boredoms, la gloria del noise giapponese, gruppo per il quale ogni apparizione live è un'avventura a sé.
Il loro concerto è difficile da raccontare. Tre batterie che suonano contemporaneamente, incastrandosi alla perfezione, con i synth e la voci di Yamatsuka Eye e Yoshimi (lei, quella dei robot rosa, ovviamente seduta ad una delle tre batterie), dando vita ad una sorta di raga indiano che riesce ad essere estatico seppur basato prevalentemente sul moto continuo.
Praticamente un ossimoro vivente.
Praticamente una delle esperienze più estreme ed al tempo stesso esaltanti a cui mi sia mai capitato di partecipare.
Finiscono dopo un'ora e mezza in cui qualcuno dorme, qualcun altro accenna passi di ballo, molti rimangono immobili, completamente rapiti dalla musica.
Nell'area dedicata alla musica dance Apparat ed Ellen Allien ("Tanto carina, arriva lì tutta fashion, gentile, poi inizia a suonare e mena come un fabbro. Li mortacci sua!" Lo dice Romina, grazie di esistere) stanno facendo ballare tutti. Alle 4 e 45 toccherebbe ad Erol Alkan, ma non ce la faccio.
Prendo la metro per tornare verso casa.
Durante il viaggio il vagone viene preso in ostaggio da un manipolo di spagnoli molesti che balla il flamenco e si diverte ad aprire le porte del mezzo mentre questo è ancora in corsa.
Anche questa è Barcellona.
And I like it.
Quasi.

C'mon Billy

martedì, giugno 06, 2006

We're from Barcelona... again

Primavera Sound 2 giugno 2006.
Wayne's World

In Italia è la festa della Repubblica. Non me ne accorgo fino a quando, tre giorni dopo, mi capita di vedere una puntata di Blob dedicata al due giugno. Appunto. Il fatto è che nella città di Primavera Sound il tempo scorre in un modo tutto suo. A tempo con la musica nell'aria e non seguendo le leggi del normale calendario.
Purtroppo il mio orologio biologico non mi permette di arrivare in tempo per il live set di Final Fantasy, ma riesco comunque a vedere metà concerto degli Applessed Cast.
Un po' Mogwai, un po' Built To Spill, un po' Death Cab For Cutie con la barba, rappresentano in pieno un certo tipo di indie americano. Quello assolutamente strasentito ed inutile, molto in voga nelle college radio. Il tipo di indie americano per cui vado matto io. Insomma.
Dopo di loro è il turno dei Costantines. Il loro ultimo album è passato un po' inosservato, ma dal vivo riescono sempre ad offrire performance all'altezza del loro nome. Che non è un nomone grande, ma ormai neanche troppo piccolino. Sembra quasi di vedere i Fugazi alle prese con il repertorio degli Afghan Whigs. Dopo una sana scorpacciata di energia, mi sposto verso il main stage dove sta per salire sul palco Karen O con i suoi Yeah Yeah Yeahs.
Dopo aver constatato ancora una volta come Karen si presti sempre e comunque ad essere il target ideale per un post di Go Fug Yourself ed ammirata da molto vicino la smagliatura che le segna le calze tracciando un ipotetico sentiero che unisce il ginocchio alla patata, non si può far finta di nulla di fronte la potenza live del trio (quartetto per l'occasione, grazie all'aiuto di un ex Folk Implosion/Alaska! di cui non ricordo il nome perché troppo mediorientalcomplicato). Purtroppo dal vivo le canzoni del nuovo album si dimostrano nettamente inferiori rispetto quelle dell'esordio, cosa a quanto pare condivisa da tutto il pubblico viste le ovazioni che accompagnano i pezzi vecchi e gli sbadigli di massa al momento delle nuove.
Purtroppo Nick Zimmer, chitarrista e terzo fratello Reid (illegittimo), deve lottare per tutta la durata del concerto con problemi tecnici enormi. Tanto da perdere la pazienza e spaccare la chitarra in segno di stizza neanche troppo nascosta.
Durante il live, Karen O riesce a dire "Uh" circa seicento volte e ad altrettante sono quelle in cui fa il gesto definito da un pool d'esperti come "il gesto del microfono di Karen O". Praticamente fa scorrere due dita sul filo del microfono, mentre al tempo stesso allunga il braccio con cui tiene il gelato. Un gesto armonico e masturbatorio che mi piacerebbe tanto veder fare a Pippo Baudo.
Archiviati gli Yeah Yeah Yeahs ed ascoltati da lontano i Drive-By Truckers (rockaccio americano, tanto buono quanto datato e scontato), decido grazie al mio senso di ragno di evitare il live dei Killing Joke (e le poche note che sento non mi fanno affatto pentire della scelta: sembrano i Rammstein. Peccato) e di recarmi verso il palco dove sta per salire Jens Lekman. Accompagnato come al solito dalla sua band di sole donne (se il mondo fosse giusto si chiamerebbero Jensettes), per l'occasione allargata anche ad una sezione fiati, propone i brani del suo album di esordio e degli innumerevoli E.P.
Il concerto è molto divertente, con Jens che si conferma entertainer di gran classe, in grado di trasformare un'oretta su un palco minore del festival in una puntata dell'Ed Sullivan Show.
Da segnalare il duetto con José "La Uallera" Gonzalez, impegnato nel difficile ruolo di quello che entra in un pezzo di Lekman con una lattina in una mano e la sigaretta nell'altra, solo per dire: "Yeah".
Delirio del pubblico e nuove scelte da fare. Qualcuno decide di rimanere lì per Isobel Country (nuovo nome di Isobel Campbell, courtesy of Pikkiomania), altri ancora corrono verso l'auditorium dove è il turno di Stuart A. Staples. Io, convinto di tracciare un'ipotetica linea di un percorso che collega due tipi di crooning differente, decido di andare incontro a Richard Hawley (per la serie: frasi sborone che si usano per spiegare perché si è visto un concerto piuttosto che un altro. In un mondo sano basterebbe dire:" Vado a vedere Richard Hawley perché mi va"). E' fantastico notare come molti dei musicisti che hanno basato e basano la loro carriera sull'umbratilità, si rivelino spesso dei fenomenali cazzoni.
Richard Hawley, tra una ballata languida e l'altra, fa continue battute, offende gli spettatori dei potenziali concorrenti ed invita tutti gli astanti a Sheffield per un tè ("Come see us in Sheffield. We'll put the kettle on").
Attacca subito con Coles Corner e tra le coppiette presenti si scatena immediatamente una gara a chi muove la lingua più velocemente. Il concerto passa via leggero, merito delle canzoni (in prevalenza quelle dell'ultimo, ottimo, album) e di una band che sa veramente il fatto suo.
A concerto finito inizio a prendermi in giro, tiro fuori dalla tasca il programma e giuro a me stesso di andare a vedere le E.S.G.
Questione di curiosità e di etica giornalistica: le E.S.G. non fanno dischi praticamente da trent'anni, il loro concerto è un evento e poi in contemporanea suonano solo i... Dinosaur Jr.
Cazzo, i Dinosaur Jr. Uno dei miei gruppi preferiti in assoluto, tipo che nomino J Mascis ogni due per tre, ma... no. Li ho già visti, mi sono piaciuti, ma li ho già visti. Meglio le E.S.G.
Anzi: vedo un pezzo dei Dinosaur e poi mi sposto al Danzka. Promesso.
Barlow, Mascis e Murph (in rigoroso ordine alfebetico) salgono sul palco con un po' di ritardo. Prendono in mano gli strumenti e cominciano a pestare come addannati.
La gente del pubblico dondola la testa, lo faccio anche io nel pit dei fotografi. Lo faccio talmente tanto che mi guardano tutti male. Decido di restare fino al terzo pezzo, al quarto è tutto più chiaro: vedo i miei buoni propositi che mi salutano, salgono in macchina e si dirigono verso l'Olimpica. Se ne vanno a puttane. In pratica.
Come al solito alternano solo brani dei primi tre LP, quelli scritti quando ancora non erano junior e che fa un certo effetto sentirli suonati così. Da senior.
Il delirio si scatena ovviamente durante Just Like Heaven e Freak Scene, loro lasciano il palco e ritornano per un bis volante. Loud, talmente loud che più loud non si può.
Loud taste metallic.
Corro a vedere le Slater-Kinney. Fin da quando, sei anni fa, mi era capitato di assistere ad un loro concerto in una piazza di Latina, davanti ad un palazzo che recava sulla facciata la scritta Opera Balilla ed una folla composta da venti unità divise equamente in persone interessate e abitanti del luogo presenti sul posto solo per gridare, continuamente: "Viva il Gay Pride!", sono rimasto con l'amaro in bocca per non averle potute ascoltare in un contesto adatto.
Finalmente ci siamo. Il pubblico è caldissimo. Talmente caldo che la povera Carrie Brownstein si becca un pallone da pallavolo dritto sulla faccia.
Il bello delle Sleater-Kinney è che sono un gruppo all-female che non suona e non si comporta affatto come un gruppo tutto al femminile. Forse l'unica band ad essere venuta fuori dall'universo riot senza dover per forza ricorrere a proclami ultrafemministi e gesti provocatori come lanci di assorbenti e quant'altro. Per carità, tutte cose che servono e in alcuni casi anche molto, ma vedendo le Sleater-Kinney sul palco non si può non pensare al loro come al più vero esempio di femminismo in musica. Un gruppo vero che suona della musica vera indipendentemente dal gender e da quello che dovrebbe rappresentare. Corin Tucker canta, graffia ed ammalia al tempo stesso, Janet Weiss è un vero spettacolo. Una batterista coi fiocchi (o i controcazzi, ça sans dire). Su Carrie Brownstein ho veramente poco da dire che non sia stato già scritto, una chitarrista eccezionale. La vera Queen of the Stone Age.
Abbandono il concerto durante quello che presumibilmente dovrebbe essere l'ultimo brano, Entertain. Manca poco ai Flaming Lips e non voglio perdere neanche un minuto.
Voglio essere lì per la preparazione dell'ordigno.
Assistere all'accensione del timer e rimanere esterrefatto di fronte all'esplosione finale.

Trovo Wayne Coyne sul palco intento ad armeggiare con il megafono e altre diavolerie. Ha tutti i tecnici intorno. La folla lo chiama, lui fa ciao ciao con la manina, prende una manciata di coriandoli da un sacchetto e li lancia sopra la sua testa, ridendo. Saluta ed esce fuori, passano pochi secondi e la parte destra del palco viene presa in ostaggio da un manipolo di Babbi Natale faretto-muniti.
A sinistra invece ci sono delle aliene vestite di viola con tanto di maschera verde che pare presa pari pari da un b-movie. I roadie sono Capitan America e Superman, la fotografa è Wonder Woman. Secondo voci di corridoio al banco mixer siede L'uomo da sei milioni di dollari.
Spiderman alle luci. Ovvio.
Entrano i Flaming Lips.
Wayne Coyne vestito da Wayne Coyne, con il solito completo color tortora (lercio), Steven Drozd con una tutona da meccanico aerospaziale, Michael Ivins da scheletro che pare essere uscito direttamente dall'armadio di Around The World dei Daft Punk e il batterista dei Flaming Lips da batterista dei Flaming Lips.
Il tipico cliente di Jay e Silent Bob.
Durante l'intro Coyne incomincia a sparare stelle filanti e coriandoli sul pubblico in un diluvio di colori. Passa un attimo ed inizia Race for the Prize, il maxischermo dietro la band si accende, i visual scorrono velocissimi come in una specie di Blob postmoderno.
Il singalong della folla è impressionante, talmente impressionante da costringere Coyne ad ammettere di trovarsi per la prima volta di fronte ad un pubblico capace di cantare in coro anche i momenti strumentali.
Parte Free Radicals, è il momento delle mani giganti che vengono piazzate su quelle del cantante. E' impressionante. Una vera festa.
Dopo il pezzo Drozd ringrazia per la prima volta il pubblico. Lo fa in spagnolo e con una voce volutamente stridula (tipo cantante dei Cugini di Campagna). Da lì in poi lo farà sempre.
E' il momento di Yoshimi, ancora coriandoli e stelle filanti, sullo schermo centrale vengono proiettate le immagini del video. Su quello di lato. Beh, su quello di lato vengono mostrati i chiari segni del mio squilibrio mentale.
Sono sui maxischermi.
Sono sui maxischermi che piango e rido. Insieme.
Yoshimi viene ripresa chitarra,voce e pupazzetto da ventriloquo sul finale.
E' il momento dell'estasi collettiva. Quello della Catena dell'amore.
Vengo fatto uscire dallo spazio tra le transenne e il palco e cerco un posto in mezzo alla folla.
Vein of Stars è forse la canzone più bella di "At War..." e dal vivo conferma tutto il suo potenziale. Le immagini, velocissime, che ritraggono stelle e pianeti danno l'idea di essere capitati per caso nel teletrasporto di Star Trek.
Arrivi a destinazione e ad aspettarti trovi il Doctor Spock che introduce al pubblico The Yeah Yeah Yeah Song. Prima accennata in versione rallentata ed unplugged, poi eseguita a mille all'ora. Si balla e si salta.
Yeah, Oui, Ja, Da, Hai, Jeso, כן, Sì!
Per The W.A.N.D. viene applicata sul petto di Wayne Coyne una lampada che va a tempo con la cassa della batteria.
Un presentatore non meglio precisato di una televisione non meglio precisata introduce She Don't Use Jelly. Tutti cantano e ballano di nuovo.
Anche questa canzone viene ripresa unplugged alla fine.
Wayne si lancia nei ringraziamenti di rito, chiede agli organizzatori del Primavera di poter tornare un altro anno. E' la fine.
Scorrono immagini riprese da un episodio di Beverly Hills 90210. Durante Do You Realize? vengono gonfiati con una pistola due palloni giganti.
Il primo, giallo, esplode in una pioggia di coriandoli sulle teste della gente.
Il secondo viene lasciato libero di rimbalzare.
Come bis viene riproposta War Pigs dei Black Sabbath del 1969.
Atto finale del concerto, accompagnato da flash raccapriccianti, istantanee di persone dilaniate dalla guerra.
I Flaming Lips suonano benissimo. Mettono in piedi un baraccone e tuttavia riescono a sembrare assolutamente credibili. Non si prendono sul serio, ma scavano nel profondo.
Ci sarebbero gli Animal Collective sul palco del Danzka. Ma non ce la faccio.
Sono troppo felice così.

lunedì, giugno 05, 2006

We're from Barcelona (un post a puntate con titolo scontato y final)

Sono ormai tre anni che il giorno dopo il giorno dopo il Primavera Sound lo dedico a raccogliere i pezzi e ricomporre il quadro.
Ad unire i puntini di una quasi settimana passata tra valigie che si perdono, call center succhia denari, appartamenti con tendine trasparenti al posto delle porte, skaters, birre,
claras, shopping, posti bellissimi che ti stracciano il cuore, piedi che fanno male e musica.
Tanta musica. Ovunque. Musica che si confonde con i “cazzi tuoi” e diventa qualcos’altro.
Colonna sonora di una vacanza indimenticabile nel bene e nel male.

Primavera Sound 1 giugno 2006.
Un’isteria collettiva spiegata a fatica.


Arrivo nei pressi del Forum di Barcellona che sono ormai quasi le 21.
Sul palco del Rockdelux, i Drones stanno suonando già da qualche minuto. Tutte le persone che conosco e che sono sotto il palco ad agitare la criniera torneranno indietro con il sorriso a trentadue denti che dà un concerto bellissimo. Rock and roll, blues e noise come si faceva una volta, un po' Jon Spencer e un po' no. Purtroppo non riesco a lasciarmi coinvolgere ed incomincio la marcia verso il Danzka Cd Drome dove Castanets è impegnato già da un po'.
Una serie di incontri fortuiti e gli obbligatori saluti di rito con amici e conoscenti di quelli che vedi solo una volta l'anno e in situazioni simili mi fanno perdere completamente lo show.
Ma ormai sono lì e prendo posto sotto il palco per l'esibizione della No Neck Blues Band.
Chiunque mastichi un po' di musica altra e si sia già imbattuto nel nome di questa bizzarra formazione sa cosa aspettarsi. Un'ora della più ardita improvvisazione musicale possibile in cui l'aspettatore viene coinvolto a più livelli e il concerto diventa performance.
E' curioso vedere una band contraria all'istituzione "palco" esibirsi all'interno di un festival in cui, per forza di cose, tutto è ordinato e stabilito. Infatti anche loro all'inizio sembrano fuori luogo e ci mettono un po' a lasciarsi andare. L'inizio del concerto è tradizionale. Un basso, una chitarra e una batteria. Pian piano che si avvicendano sul palco gli altri componenti della band (l'uomo con la barba pù lunga del mondo agli effetti ed una giapponese posseduta da Damo Suzuki alla voce) le cose si fanno più complicate, la musica diventa sempre più free fino a quando una piogga di piatti ed altri componenti della batteria comincia ad invadere il palco, il batterista biondo si sposta alle percussioni ed inizia un suo personale show che lo porterà a finire il concerto praticamente nudo. Per me è tutto molto interessante, mentre la persona che ho vicino incomincia a manifestare antipatia per "il baccano più assurdo che abbia mai visto". E a colpi di "cos'è questa roba", decidiamo che è arrivata l'ora dei Motorhead.
L'ora di Lemmy.
Ecco, se non siete mai stati a Barcellona e non avete mai messo piede in un festival indie, fatto per un pubblico indie, in cui suonano gruppi indie, non potete capire il bellissimo shock causato dalla visione di biker e metallari impegnati a saltare e cantare insieme a ragazze con la frangia ed i vestiti anni cinquanta e giovani fighetti che danno l'idea di vivere gomito a gomito con lo spleen da quando si alzano fino a quando non vanno a dormire. Tutto questo è successo durante il live set dei Motorhead, con il bubbone più famoso della storia del rock emozionato come un bambino per il suo primo concerto da sessantenne e la sua voce di cartavetrata violenta ed abrasiva come le note emesse dal suo basso. Fantastico. Anche se troppo lungo e fedele al motto:
"Tre minuti, quattro minuti, tiè, pure cinque. Poi però rompe il cazzo".
Durante Aces Of Spades vado a prendere posto sotto il palco in cui sta per suonare Why?.
Il concerto è carino e divertente. Nulla di più e nulla di meno. Scorre veloce come un sorso di birra e lascia subito il campo ai Fuckin' Grown-upshambles (come li chiama Lemmy).
Per chi scrive, invece, arriva l'ora della comida, riesco comunque a vedere un paio di pezzi. Con Pete Doherty che canta male, malissimo e il gruppo che suona benino canzoni che non faranno la storia del rock ma che assomigliano tantissimo a canzoni che hanno fatto la storia del rock.
Piano piano il pubblico si fa sempre più esiguo ed incomincia l'esodo di massa verso il Danzka Cd Drome.
Spiegare quello che sta succedendo in Spagna intorno agli I'm From Barcelona non è una cosa facilissima. Praticamente la band svedese si è ritrovata al centro di un vero e proprio caso. La sua canzone tormentone We're From Barcelona è diventata un inno per i tifosi del Barça nei giorni della Champions League, l'organizzazione del festival ha deciso di usarla come sottofondo per gli spot televisivi e la gente si presenta nei pressi del palco armata di foglietti e pronta ad abbandonarsi a cori ed urla di giubilo.
E' curioso vedere tutte queste persone che fanno le prove mentre il gruppo non è ancora salito sul palco. Ma è un attimo: le luci si spengono e dagli altoparlanti escono le note di Barcelona. La canzone di Freddie Mercury e Montserrat Caballé. Uno dei duetti più trash che la storia della musica ricordi. I ventotto svedesi (mancava uno) prendono posto dietro gli strumenti.
Cioè, i pochi che suonano prendono posto dietro gli strumenti, gli altri riempiono il palco non si sa bene per fare cosa. Qualcuno fa le foto, qualcuno suona il kazoo, qualcun'altro riprende.
Tutti ballano e cantano. In coro. In poco più di trenta minuti si aggiudicano l'award per la performance più divertente e fuori di testa dell'intero festival. Una sorta di Polyphonic Spree che devono ancora impare a suonare e con il più alto tasso di figa sul palco.
Chiude il tutto una versione acustica e sing along di We' re From Barcelona.
Il tempo di farsi una passeggiata, salutare Giulia che va a dormire ed è il turno di Yo La Tengo.
Sicuramente la band di punta di questa prima serata. Il gruppo con pià storia alle spalle (ok, dopo i Motorhead) e con il maggior talento.
Stranamente il concerto lascia un po' di amaro in bocca. Niente da dire sulle canzoni, ma stupisce la scelta di una scaletta maggiormente concentrata sui pezzi lunghi e psichedelici del repertorio.
Praticamente come vedere i Velvet Underground intenti a suonare kraut rock.
Bello ed interessante, ma non il concerto che era lecito aspettarsi.
Urbino lo scorso anno e la recente tourneè italiana sono tutta un'altra cosa.
Mentre il freddo diventa insostenbile, i tecnici si danno da fare per il cambio palco che trasformerà il forum in una dance hall.
Ma non ce la faccio. I miei piedi mi abbandonano e la stanchezza mi porta a rinunciare al dj set dei 2 Many Dj's.
Vado a dormire. Domani si ricomincia.

Scopri l'oggetto misterioso. Un'altra simpatica cazzata di [indiessolvenza]



Risposte:

a) Un quadro di Mondrian
b) L'elettrocardiogramma di Gianbattista Margheritoni
c) L'asfalto del Forum di Barcellona dopo il passaggio in città dei Flaming Lips


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