
Prima di partire, l'esclamazione: "Vado a Budapest!", generava due diversi tipi di reazione.
Quelli che mi conoscono chiosavano con: "Ah, vai allo Sziget."
Quelli che non mi conoscono si sentivano autorizzati a dare consigli su come trovare le migliori mignotte disponibili sulla piazza.
"Guarda, co' ventisei euro te ne fai tre e se ti porti i dvd da casa ti fanno anche il filmino.""Eh, ma io non vado a mignotte, poi in vacanza ci vado con la mia ragazza.""Con chi? Ma che sei pazzo?"Praticamente come se avessi dichiarato di aver fatto la prima comunione sottobraccio col rabbino.
Sono stato a Budapest e sono stato allo
Sziget.
Era la prima volta, Berlino a parte, che andavo in un paese dell'est europeo.
Già il viaggio in taxi dall'aeroporto all'albergo si rivelava come un'insieme di piccolissimi shock.
"Casette di marzapane" e palazzoni si alternavano senza soluzionie di continuità, mentre la radio della macchina alternava hit degli anni '80 (il singolo di
Stephanie di Monaco!) a brani di pop ungherese che avevano formato in me l'idea - sbagliata- di
Raul Casadei come esponente maggiore di tutta la musica magiara nel mondo.
Non era così. Ogni sera, alle 19, sul mainstage dello Sziget si alternavano le band locali più note in patria. Veri e propri cloni in lingua ungherese di tutta la musica "alternativa" di successo.
Un mucchio di
Nick Cave,
Nirvana e persino
99Posse, cresciuti sulle rive del Danubio e spesso capaci di radunare sotto il loro palco più gente dei nomi scritti in grosso nel cartellone.
Roba da rivalutare immediatamente tutto il rock italiano e in italiano, per poi domandarsi se in realtà sia solo una questione di becero nazionalismo e poco più.
La leggenda vuole che a Budapest tutto costi poco, per non dire pochissimo.
La verità, come luogo comune vuole, sta nel mezzo.
Sicuramente si può mangiare bene e anche tanto spendendo l'equivalente del costo di due panini in un chiosco del centro di Milano.
Sfondarsi di cibo ungherese e poi tornare in ostello strisciando sui gomiti è possibile allo stesso prezzo di una pizza più birra più antipasto a San Lorenzo.
Un paio di
Converse edizione limitata costano quasi l'esatta metà del loro corrispettivo italiano e in alcuni negozi di dischi è possibile portarsi a casa i best seller del pop internazionale con poco più di dieci euro.
Il problema è che a Budapest si paga tutto (eccetto i biglietti dell'autobus... ehm) e dieci giorni di permanenza non riescono a scalfire la sensazione che in ogni angolo della città esistano due pesi e due misure. Se sei turista c'è poco da fare, prima o poi proveranno a fotterti.
In taxi, in ostello, al ristorante, al festival.
Ovunque. Una specie di tassa da pagare per essere ammessi sul territorio.
Anche in Ungheria, come in Italia, vanno di moda le suonerie del cellulare pubblicizzate attraverso spot televisivi insulsi. La prima serie di
Lost è in onda in questi giorni. Sawyer, Jack e Charlie parlano tutti e tre con la stessa voce e spesso, sentendo parlare Kate, ti viene il dubbio che sia sempre lo stesso doppiatore costretto a cimentarsi con il falsetto per ricoprire anche i ruoli femminili. L'Mtv locale è quella tedesca. Trasmette gli stessi semi-reality di quella italiana decidendo di volta in volta con il gioco della pagliuzza più corta quale doppiare in tedesco, in ungherese, oppure lasciato in inglese ma con i sottotitoli.
Nelle poche ore di televisione viste, causa temporale, ho avuto il tempo di perdere la testa per una band tedesca. Gli
International Pony. Probabilmente il loro disco farà schifo, ma
questo video e questa canzone sono finiti per essere il vero tormentone della vacanza.
Girando per le strade di
Budapest, vedendo i vestiti indossati dalla gente e quelli in vetrina, ma anche semplicemente dando un'occhiata al cast dello Sziget, si ha forte la sensazione di una città fortemente ancorata a quelle che erano le mode ed i gusti in voga negli anni'90.
Probabilmente sono talmente avanti da essere già con tutti i piedi dentro il revival che fra un po' condizionerà anche le nostre vite, almeno quanto
Ligabue è già dentro l'happy hour.
Probabilmente no. Dieci giorni non sono bastati per capirlo e altri dieci non danno comunque l'idea di essere abbastanza.
Lo
Sziget Festival si tiene in un'isoletta del Danubio. Quella di Obuda, per la precisione.
Un'isoletta che paragonata alle altre location festivaliere sparse per l'Europa, finisce per sembrare enorme. Immensa.
Il vero spettacolo non è quello che avviene sui palchi (in una settimana lo Sziget ha in cartellone molte meno cose interessanti di tre giorni di
Benicassim, cosa che rende possibile seguirlo con assoluta calma e tranquillità, andando al festival solo si vuole effettivamente vedere qualcosa), ma intorno e fuori.
Una via di mezzo tra una sagra di paese ed una rassegna di fenomeni da baraccone.
Si va dal
bungee jumping, alla teleferica che taglia a metà l'area alle spalle del main stage, passando per stand a sfondo religioso ( "Cento fiorini e parli con il rabbino") a quelli dove impazzavano i giochi popolari come quello del "
martellone misura forza" e il cane di ferro da lanciare su pista fatta dello stesso materiale.
E' un festival a misura di fricchettone. Le aeree etniche (dal cibo alla musica) sono molte più di quelle dedicate ad altro, e spesso e volentieri è più facile trovare una folla festante sotto il palco in cui si esibisce una cover band di
Manu Chao che sotto quello degli artisti di grido.
Merito anche del campeggio che invade tranquillamente gli spazi destinati alla musica, rendendo possibile ascoltare concerti e stonfarsi di droghe senza neanche dover mettere fuori il piede dalla tenda.
Il cibo ufficiale (oltre a quello ottimo degli stand culinari) è costituito da snack a forma di salsiccetta di pollo annegata nella paprika che vengono distribuiti in giro gratuitamente. Un po' a scopo promozionale, un po' chissà per quale sordido motivo.
Si chiamano
Mad Dog ed hanno il dono di avere ogni volta un sapore diverso, dipende da dove si consumano, e di levare completamente l'appetito anche a chi sia digiuno da giorni.
Ovviamente fanno schifo. Ovviamente danno assuefazione (ce ne sono sei nel mio frigo che rimarranno lì a fare la muffa. Se qualcuno è interessato, basta mandare una mail al solito indirizzo).
I concerti:
per quello strano processo che vuole l'isola di Obuda ferma al 1998, i
Therapy? si esibiscono sul palco principale davanti ad un numero cospicuo di fan. In Italia sono una attrazione da festivalino di provincia (come l'ottimo Ephebia di Terni).
Il loro concerto scorre a metà tra un piacevole salto in un passato mai approfondito e un presente triste che più triste non si può.
I
Franz Ferdinand ormai sono delle star assolute. Un vero e proprio gruppo da arene. Fa uno strano effetto, avendo potuto osservare da vicino i loro quasi primi passi.
Il loro show è tutto un'insieme di hit e mossettine, corsette tra il pubblico e colpi ad effetto (il fantastico finale con
Outsiders che diventa
This Fire dopo un intermezzo tribale di grande impatto). Come al solito: non emozionano, ma divertono.
Nelle due tende dedicate all'elettronica si passa da un genere all'altro, anche qui sempre sotto l'imponente egida del revival. Per cui vai di drum'n'bass (
Dj Storm,
Future Prophecies...), house più o meno "commerciale" (
Roger Sanchez, Mylo), techno e i suoi derivati (
Carl Craig, Layo & Bushwacka!, gli ottimi
Tiefschwarz e
Anthony Rother).
Presente anche una sala denominata Silent Disco. Una discoteca in piena regola in cui la musica non esce dalle casse, ma è ascoltabile tramite cuffie scegliendo tra due canali e tra due dj che suonano in contamporanea. L'effetto straniante che fa ballare un pezzo gabber mentre tutti intorno a te cantano il ritornello del primo singolo dei
Darkness è indescrivibile.
Boban Markovic e la sua orchestra di ottoni trasformano il
Pannon World Stage in una specie di
Love Parade della musica balcanica. Più raw e rock di tutti i
Bregovic del mondo, con Markovic geniale alla tromba e con la sua maglietta a righe da indie fighetto che evidenzia la pancia prominente.
Stessa situazione per i
Gogol Bordello che infiammerano per due ore il
Wan2Stage, facendo cantare in coro a gente di tutto il mondo un pezzo pieno di bestemmie in italiano.
Un po'
Mano Negra, un po' orchestra da film d
Kusturica, suonano per due ore, finendo il concerto con più di trenta persone sul palco ed il frontman in piedi sulla folla saltante.
Il concerto dura troppo, ma diverte.
Guru si fa presentare sul palco come "la leggenda vivente dell'hip hop americano". I suoi Jazzmatazz sono un piacevole sottofondo, ma niente di che.
I
Gomez (così come i
Coldcut) vengono cancellati senza avvertire il pubblico. Una ragazza inglese sostiene che si sappia da mesi e che sia una abitudine malsana degli organizzatori del festival quella di nascondere le defaillance fino all'ultimo minuto.
Jovanotti viene accolto dal Po Po Po Po degli italiani presenti (a proposito, anche gli ungheresi e i tedeschi hanno il loro Po Po Po Po, fa "Ohoohoooh " e viene cantato costantemente tra un concerto e l'altro). Grande band e show carino, adatto alla platea di un festival internazionale. Una lunga jam di pezzi rap e tirati, cover accennate (
Rapper's Delight,
Golddigger,
Bloc Rockin' Beats) e poche concezioni al jovanottismo più deteriore (un pezzo lento dell'ultimo album che diventa
Serenata Rap e
Ragazzo Fortunato suonata sul video della finale Italia-Francia ).
Involontariamente divertenti i tentativi di Lorenzo di parlare in ungherese (una lingua incomprensibile) e in inglese: "Sorry for my ùngheres!".
Molto divertenti gli
Scissor Sisters. Il loro live è un baraccone in cui la musica rappresenta solo una minima parte del pacchetto. Fantastici i due frontman (
Jake "Volevo essere la Carrà" Shears e
Ana "Sono la Carrà" Matronic), un salto a piè pari nella New York dello Studio 54 e nei musical di stanza a Brodway. L'ora "più frocia" che io abbia mai vissuto.
Terrificanti i
Prodigy (il gruppo di punta del festival, quello con il nome scritto in grosso in cartellone e la maggiore presenza di gente sotto il palco) e irritanti i
Placebo. Una band senza senso, senza impatto e pure senza stile. Onesti, come al solito, gli
Orb, così come sono stati terrificanti i
Gathering (a prosito: lo Sziget è un festival molto metal, con uno dei palchi di maggior successo interamente dedicato al genere e con dei pezzi da novanta non di poco conto come i
Morbid Angel, i Fear Factory, i Cradle Of Filth...).
I
Sons & Daughters sono i Cramps misti ai Violent Femmes scozzesi. Il loro concerto è trascinante e ad alto volume, anche se i pezzi si assomigliano tutti e non sono sempre all'altezza della situazione.
Grandissimi i
dEUS. Penalizzati un po' dal suono (basso altissimo), ma assolutamente in palla per quanto riguarda grinta e impatto.
Mauro Pawloski è ormai il sindaco del mondo. E
Tom Barman non si discute. La scaletta è quella con cui stanno girando ormai da parecchi mesi seppure ridotta ed epurata di molti pezzi dell'ultimo album. Qui gli si vuole bene. Punto e basta.
I
Radiohead meriterebbero un post a parte. Sono una spanna sopra tutto il resto, c'è poco da aggiungere. Scaletta greatest hits perfetta per un festival (molto "
The Bends", parecchio "
Ok Computer", e il resto preso dagli altri dischi, escluso ovviamente "
Pablo Honey").
Solo due pezzi nuovi proposti, tutti e due in linea con le ultime incarnazioni nel gruppo.
15 Steps (bellissima
) punta più sul versante elettronico; più tradizionale, invece,
Nude.
Per la prima volta se la "giocano" sul serio. Il palco è addobbato in maniera spettacolare. Una pioggia di schermi, simili a specchi di grandi dimensioni, piove dietro le spalle del gruppo proiettando dettagli (la bocca di
Thom Yorke , i piedi sui pedali di Ed O'Brien...). Stessa cosa nei due maxischermi ai lati del palco, suddivisi a loro volta in quattro quadratini.
Gli
Stooges non si smentiscono. Concerto adrenalinico e più vicino a un rito sacro che ad un vero e proprio show. La celebrazione del rock and roll nelle sue forme più classiche e imponenti.
Iggy Pop è un diavolo. Non sta fermo un attimo, canta da Dio, agita il culo...
Fa tutto quello che deve fare. A cinquantanove anni. L'età di mio padre.
A fine concerto una ragazza rimane a
seno nudo, ornata solo dalla scritta "I love Iggy".
Niente di che i
Living Colour. Anche loro molto potenti, ma veramente troppo fuori tempo massimo (con l'aggravante di non avere la storia dalla loro parte, come invece gli
Stooges).
In giro per le strade di
Budapest si respira un'aria strana (descritta meglio da
Giulia in
questo post), come se tutti attendessero un cambiamento di cui non sentono troppo il bisogno. Forse perché troppo stanchi dei cambiamenti che la storia li ha abituati a subire.
La gente sembra avere una scorza dura che gli vieta di aprirsi veramente agli altri, come se la diffidenza dovesse avere la meglio su tutto.
In centro, gruppi di italiani si muovono come lupi in cerca delle famose "tre scopate per ventisei euro". Troveranno solo delle ragazze normali (bruttine, per lo più), assoldate dai locali per spillare quattrini e vendere illusioni.
E' un posto bellissimo, Budapest. Forse anche per questo.
(Ogni link di questo post porta ad una foto, tra le altre, che trovate qui)