
Ho cominciato a capire la politica a tredici anni.
Prima andavo a scuola dalle suore.
E non lo dico così tanto per dire.
Dieci anni di militanza cattolica imposta. Dal primo giorno d'asilo, all'ultimo di terza media.
Un condizionamento lento, strisciante. Mai dichiarato apertamente, ma efficace.
Della serie: avevo solo dieci anni ed ero già il perfetto democristiano in miniatura.
Anche se non lo sapevo.
Ricordo che una volta ogni tot ci portavano nella sala grande a vedere un film.
Mi ricordo
Biko. Qualche
Pupi Avati. Ma soprattutto mi ricordo una serie infinita di documentari scadenti che andavano dalle banali biografie dei Santi, fino ad arrivare ai video educativi. Quelli che ti spiegavano che scelte fare. Quelli che "la droga era uno strumento del demonio". E poi c'era il sesso.
Ero ancora alle elementari quando invitarono ad una riunione del consiglio scolastico anche noi bambini. Con tutti i genitori.
L'argomento del dibattito non erano scrutini, pagelle e quant'altro.
Era un argomento speciale.
L'aborto.
Ci fecero accomodare nella sala.
A tutti, genitori e figli. La stessa sala dove ogni tanto guardavamo i film.
La sala con l'enorme ritratto della
Beata Maria de Mattias.
Una specie di Gioconda, ma molto più accigliata. E con il velo.
Dopo il discorso inagurale della preside iniziò lo show.
C'erano dei medici. Tutti antiabortisti.
Dopo due ore, noiosissime, noi bambini venimmo fatti accompagnare fuori.
Ci portarono in palestra a giocare. I genitori no.
Mia madre e mio padre mi vennero a prendere con gli occhi sbarrati.
Avevano visto un filmato. Un filmato sconvolgente.
Da lì a pochi mesi sarebbe dovuto venire in visita
Andreotti.
Eravamo tutti contenti per il suo arrivo. Più che a lui, pensavamo all'imitazione che Gigi Sabani faceva in televisione
.
Le suore erano tutte eccitate.
Sembrava che
Cristo in persona fosse in procinto di sbarcare in città.
O forse il
Papa. Invece era solo il
porchiddio di
Andreotti. Sceso dal cielo per inaugurare un monumento e chiedere voti per un Senatore.
Vitalone.
Ero in prima media quando, un pomeriggio, trovai alcuni vinili dei miei genitori. Vinili che avevano, tutti, la falce e il martello stampati in copertina.
Rimasi sconvolto. Sentii una stretta terribile allo stomaco.
I miei erano comunisti. O forse lo erano stati in passato.
In ogni modo, il comunismo era entrato in quella casa (e forse avrei dovuto accorgermene prima guardando "
Il Capitale" in bell'evidenza sulla libreria, e l'attestato che indicava mia madre come consigliere comunale eletto dalle liste di
Autonomia Operaia) ed io non mi sentivo più degno di frequentare quella scuola. Mi sentivo in colpa.
La mattina dopo, presi da parte la professoressa di italiano, laica, e le confessai il misfatto.
"
Ho scoperto che i miei sono comunisti", le dissi.
"
Embè", mi rispose.
Era comunista pure lei.
Non so perché tutti questi episodi mi siano tornati alla mente proprio ora.
In giorni segnati dai dibatti sulla
Legge 194, la visita mancata del
Papa alla Sapienza ed i coniugi
Mastella indagati e "perseguitati" solo perché cristiani (o almeno, questo è quello che dicono loro).
Improvvisamente l'Italia mi sembra terribilmente simile alla scuola che frequentavo da bambino.
Dove tutto, dalla "cosa pubblica" a quella privata, veniva filtrato attraverso un sentire cattolico da cui era impossibile tirarsi fuori.
Dove anche le così dette voci fuori dal coro (vedi al capitolo: "editoriali che compaiono in questi giorni sulle pagine dei giornali di centro sinistra") fanno a gara per dimostrare di essere, anche solo un po', intonate.
Un paese dove anche solo un "embè", potrebbe apparire una rivoluzione.
A tredici anni ho abbattuto il crocifisso della mia classe con una pallina da tennis.
Me l'hanno fatto ricomprare.
(Il titolo del post non è molto in topic, ma anche sì.
Però, visto che ormai ci sono, lo dico:
questa canzone è un mezzo capolavoro. Secondo me).